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Dall’antropologia a Massimo Troisi: “Osimhen, Naples is not Italy”

Osimhen (Getty Images)

“Il Napoli gli piacerebbe, ma in Italia c’è un grande problema, il razzismo”. Queste, in sintesi, le dichiarazioni di Osita Okolo, membro dell’entourage che cura gli interessi del calciatore nigeriano. Non che ci si voglia scagliare...

Giuseppe Canetti

“Il Napoli gli piacerebbe, ma in Italia c’è un grande problema, il razzismo. Queste, in sintesi, le dichiarazioni di Osita Okolo, membro dell’entourage che cura gli interessi del calciatore nigeriano.

Non che ci si voglia scagliare contro un pensiero trasformato, di getto, in parole. Anzi, alla realtà dei fatti, potrebbe trattarsi di una sacrosanta verità. Quello che risulta necessario è far notare al signor Okolo (e quindi a Osimhen) una ‘velata certezza’: Naples is not Italy.

L’antropologia culturale rivela che la discriminazione razziale è ovunque nella moderna cultura occidentale, talvolta insita anche nello stesso antirazzismo, ed in questo caso, se si approfondisse la questione, si entrerebbe in un vortice privo di uscita. Quindi, senza voler scomodare troppo l’antica disciplina che ha forgiato le più differenti idee in ambito di teorie evolutive e significati culturali, ma senza neanche allontanarci da essa, si potrebbe illustrare giusto qualche passaggio che contraddistingue Napoli e la sua gente dal resto d’Italia.

Il razzismo è una questione culturale

 Victor Osimhen Napoli (Photo by Stuart Franklin/Bongarts/Getty Images)

Non si tratta di voler sminuire il valore dei connazionali italiani e neanche di fare a gara a chi è più civile, virtuoso o solidale. Pregi e difetti appartengono a tutti i gruppi. La questione non va affrontata dal punto di vista della civilizzazione, piuttosto dal punto di vista della cultura. I due concetti sono usati spesso come sinonimi ma, dietro questi, vi sono celate due opposte visioni del mondo. Il primo rende le distanze incolmabili, il secondo valorizza le differenze. In questo senso, la riflessione vuole evidenziare le caratteristiche che appartengono a una cultura e a un popolo che è sempre stato considerato ‘contiguo’ al continente africano. Cosa che, se non fosse significato subire discriminazioni ed episodi di razzismo, non sarebbe affatto dispiaciuta all’ ‘etnia’ partenopea, che è legata alla terra nera da uno spesso filo ideologico e simbolico. Le comunità senegalesi e nigeriane perfettamente integrate col territorio ne sono l’esempio lampante.

A Napoli la diversità unisce, non separa. Rappresentare il Sud ha determinato lo sviluppo di quelle peculiarità che definiscono il popolo napoletano come accogliente, ospitale, generoso e pronto a stringere la mano, nonostante tante cose:

l’esposizione costante alla discriminazione, l’essere descritti con fantasiosi stereotipi, definiti con i peggiori epiteti. Essere di Napoli significa dover lavorare più duramente per essere apprezzato dall’ala nordista del Paese. Vuol dire aver visto le scorie tossiche delle industrie del settentrione seppellite nel proprio sottosuolo. Vuol dire vedere le menti migliori andare via, emigrare a causa di una scellerata gestione politica dei governi centrali da più o meno quando, a tavolino, si decise l’Unità e Garibaldi la realizzò.

L’imperialismo, come c’è stato in Africa, in egual misura è avvenuto nel meridione d’Italia. Una simmetria perfetta.

Osimhen, welcome to Napoli 

 Serie A razzismo

Insomma si parla di un popolo che ha reagito, ed ora mostra una mentalità diversa e la pelle dura. Ha resistito al laboratorio coloniale e in base a quest’esperienza si mostra consapevole delle difficoltà, dei bisogni e delle necessità altrui. Interpretando la cultura, i gesti e i simboli dell’ “altro”, Il napoletano è diventato l’antropologo che ha decifrato e tradotto i significati, e li ha fatti anche suoi. Mescolanza e tradizione, dai vicoli fino alle periferie.

Si cerca di trasmettere un concetto: Napoli non è l’Italia, almeno dal punto di vista culturale.

La 'napoletanità'

Nessuno sarebbe in grado di esprimere i tratti della ‘napoletanità’ meglio di un genio nato alle pendici del Vesuvio. Trentatrè anni fa l’episodio che vide protagonisti il commemorato attore e regista Massimo Troisi e il giornalista e scrittore Gianni Minà:

Correva l’anno 1987, ed era il tempo di festeggiare il primo scudetto del Napoli: "Sono comparsi striscioni con la scritta ‘Siete i campioni del Nord Africa’, l’Unità d’Italia non è mai avvenuta…" lo punge l’intervistatore. E Troisi con una solita smorfia di ironia spiegò che sono cose che chi vince deve lasciarsi scivolare addosso. Poi, la stoccata: «Preferisco essere un campione del Nord Africa piuttosto che mettermi a fare striscioni da Sud Africa», riferendosi a quella parte del Continente dove c'era all'epoca ancora l'apartheid, ovvero la politica di segregazione razziale istituita dai bianchi.

Un modo sottile ma chiarissimo per dire che qui si rifiuta il razzismo, altrove chissà.

 Victor Osimehn puoi pure stare sereno, Napoli è anche casa tua.

di Giuseppe Canetti 

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