«Io le garanzie di nuovi calciatori non le ho mai chieste ai miei presidenti. Perché la garanzia per vincere ero io... Come d’altronde lo è Conte». Arrigo Sacchi, il vate di Fusignano, l’allenatore del Milan degli Invincibili, guarda con ammirazione all’impresa del Napoli che si avvicina al quarto scudetto della sua storia. Anche se ogni volta dice: «Pure se uno ancora non lo mando giù per la rabbia. Perché entrò di mezzo la politica...». E il riferimento, si sa, è al tricolore del ‘90 e alla moneta che colpì Alemao a Bergamo. Sacchi, Conte parla di prodigio. «Era un’impresa impossibile pensare di poter conquistare questo scudetto. E lui l’ha resa possibile. Credo che, a parte Antonio, nessuno pensava davvero che il Napoli potesse arrivare fino in fondo. Lui ci è riuscito perché non si crede un fenomeno: sa che c’è solo il lavoro alla base di ogni traguardo. E quello che conta è spiegare ai propri calciatori che la premessa di un fallimento è sentirsi arrivati. Perché il successo ti porta a pensare che non devi fare molto altro per continuare a vincere, che puoi smettere di sacrificarti. E quando uno crede di essere diventato grande, là inizia il suo tracollo». Sembra la rinascita del Napoli. «Può darsi che lo sia. A Berlusconi, a un certo punto, smisero di chiamarlo Sua Emittenza e iniziarono a sbeffeggiarlo col nomignolo di Sua Perdenza. Lui non riusciva a mandarlo giù. E allora diede vita alla rinascita del Milan chiamando me, dandomi carta bianca e fidandosi ciecamente. Ingaggiò Ancelotti alle 2,30 del mattino, nonostante gli avessero detto che aveva le ginocchia a pezzi. Ma se voleva vincere, gli dissi, doveva seguirmi e basta. Come De Laurentiis ha fatto e farà ancora con Conte».


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—In effetti, De Laurentiis ha fatto più o meno la stessa cosa. «Non ho mai visto i suoi cinepanettoni, ma anche quando si occupava di altro era geniale, sempre avanti. Ha il suo carattere, ma i risultati dicono che ha ragione. Nel calcio ha portato la sua competenza imprenditoriale e manageriale. Non è facile vincere a Napoli e non è facile vincere un altro scudetto a distanza di appena due anni». Crede che ormai i giochi siano fatti? «Mi spiace per Inzaghi ma la cattiveria e l’orgoglio che vedo nello spartito di Conte non lo vedo nella sua Inter degli ultimi tempi. E poi quel McTominay... Porca miseria: solo Antonio poteva far venir voglia di migliorarsi a uno che veniva dalla Premier, dal Manchester United». Dice che deve incontrare De Laurentiis per avere certezze di un grande Napoli per il futuro. «Ma resta, perché mai dovrebbe andare altrove? Per me al Napoli il bello deve ancora venire. E solo lui può riuscire a far fare un altro salto in alto al club». Magari chiamano lei per convincerlo. «Meglio di no. Lo fece Marotta quando erano alla Juventus, mi chiese di fargli cambiare idea perché aveva puntato i piedi dopo il no a un calciatore che voleva a tutti i costi. Io ci provai, ma alla fine andò via lo stesso e non mi diede ascolto. Perché Antonio è duro: se si mette in testa una cosa non cambia idea per nulla al mondo. Però mi pare che abbia voluto Napoli come il Napoli ha voluto lui: non credo che finirà il rapporto così presto».
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—Quella di domenica scorsa è stata la giornata chiave? «Ha detto molto. Soprattutto che il Napoli non ha paura di vincere, non ha tremato all’idea di poter allungare sull’Inter. Spero tanto che Inzaghi riesca a recuperare le energie mentali in vista della partita di Champions domani a Barcellona, ma negli ultimi tempi arrivano segnali poco incoraggianti». Quale è stata, a suo avviso, l’arma in più di questo Napoli? «La ricerca continua del miglioramento individuale. Una cosa che solo Conte può fare così rapidamente e in questa dimensione». Come avrebbe reagito se le avessero venduto Gullit in inverno? «Male. Ma se lui sta vincendo pure senza Kvaratskhelia, io ho vinto senza Van Basten, infortunato per sette mesi». Il suo amico Ancelotti pare vada a fare il ct del Brasile. «Per carità, spero proprio che non lo faccia mai».
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