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«E quindi uscimmo a riveder le stelle»

osimhen napoli
Una vittoria che ha un valore spropositato, se lo si saprà allargare e se lo si guarderà con rispetto. Lo Scudetto del Napoli può cambiare il calcio italiano e non solo. Bisogna volerlo e bisogna che il Napoli non sia sazio né domo, mai più
Mattia Fele
Mattia Fele Editorialista 

Solo a parlarne 3ma la voce: Udine a parte, il Napoli ha vinto uno Scudetto incontrovertibile e bellissimo. È proprio la bellezza il tema di questo trionfo, le idee che chiedono al destino il conto: dei tanti secondi-terzi posti, delle ingiustizie e dei soprusi. Dei discorsi sul potere costituito. Si festeggi ora e qui una squadra che letteralmente ha fatto terra bruciata, oltre ad aver sconquassato l'ambiente nazionale in fatto di comunicazione, di giudizio, di narrazione. È una vittoria che cambia gli equilibri e fa giurisprudenza, distrugge i luoghi comuni del Sud che non può vincere se non per demerito altrui perché ha in sé il germe malato dell'inferiorità. Ma nel calcio conta il pallone che rotola e che qualcuno lo metta in gol.

Occhi alle stelle, piedi per terra e si va a giocare

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Udinese-Napoli non è stata per niente una bella partita. Spalletti ha cambiato due uomini perché certo che ci fosse il bisogno di fargli tirare un po' il fiato, ma chi è sceso in campo non ha reso. Il gol di Lovric ha fatto piombare tutti gli undici (e gli undici mila, sugli spalti) in uno psicodramma che già nelle loro menti si sarebbe concluso in critiche insuperabili sull'inettitudine dell'ambiente a superare gli appuntamenti che si devono vincere. Come quello di ieri sera. La pura realtà è che forse così sarebbe andata, se Osimhen non ci avesse messo lo zampino. A questo servono i grandi calciatori. Il nigeriano era lì, dove la Storia avrebbe voluto che fosse. Ha colpito perché è quello che sa fare meglio. Dopodiché un altro Napoli: fluido, intenso, volitivo. Elmas serve una palombella magica a Zielinski che al volo quasi fa il 2-1, poi tanta gestione e un buon pressing in avanti. Un Kim senza precedenti. Così il Napoli ieri ha vinto lo Scudetto, nella partita dove sarebbe bastato solo un punto. Con l'1-1 fanno 3 pareggi nelle ultime 4 partite, senza mai segnare più di un gol. Tutto perché l'utopia della bellezza che vince pesava tanto da intrecciare e irrigidire pure i muscoli. Oggi quell'utopia si legge sulla gente, si riflette nelle pupille lucide di lacrime. Si percepisce nelle videochiamate del triplice fischio, quelle ai parenti lontani, ai cari rimasti in casa. Ha vinto un modo di stare al mondo, di vivere lo sport e più banalmente di competere sanamente. Esempio di civiltà.

Il Napoli è una squadra di uomini sensibili, di bravi ragazzi ambiziosi presi nel momento giusto delle loro carriere. Hanno fame, sono scontenti al punto giusto da volere di più per loro stessi e sanno emozionarsi per un coro. Trovano addirittura bellissima l'atmosfera a tratti asfissiante di Napoli. Sono poi calciatori compatibili tra di loro che Luciano Spalletti ha oliato come ingranaggi perfetti, alcuni plasmandoli e rendendoli consapevoli di cose che nemmeno pensavano avrebbero mai avuto. Poi ci sono Khvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen che qualunque squadra al momento in Europa vorrebbe, perché sono due giocatori che fanno la differenza da soli. Il georgiano ha fatto parlare di sé in un anno il New York Times, l'Equipe, il The Athletic, la Bild. Ha fatto il giro del mondo con le sue sterzate tutte di polpaccio ed equilibrio. Con le sue danze e i suoi tunnel sugli avversari (sì, anche su Calabria ndr). Allargando, si può dire che quest'anno dal magazziniere ad Osimhen nessuno nel Napoli ha sbagliato una sola scelta. Anzi: il Napoli ha fatto strada alle altre italiane in Europa. Ha detto: ecco come si fa. Sperando che qualcuno colga questa mano e ne tragga qualcosa di buono, invece di reagire - come forse accadrà -  mettendosi di traverso rispetto a quello che De Laurentiis ha voluto dimostrare. Si può vincere con la sola forza del bene. Del bello.

Nello Scudetto (Terzo Scudetto, in maiuscolo come ogni evento storico che si rispetti) confluisce la forza di un club che nel tempo ha voluto fortemente ambire a obiettivi più importanti della propria dimensione, checché ne pensasse la città stessa, sempre pronta a sopravvalutarsi. Napoli non sapeva neanche quanto potesse essere forte il Napoli ed è stata poco spesso alleata della squadra che oggi acclama, sin dal fallimento del 2004. Poi Sarri che inventa un DNA, si fa portavoce di una rivoluzione che crea grande unione ma poi la perde. Addirittura decide di battere il nemico unendosi a lui e spegne di nuovo un sentimento di una città come avesse premuto un solo interruttore. Puff. Il pensiero del tradimento, ancora e sempre. Come quello di Higuaìn, Altafini, Ferrara e diversi altri simboli. Ma non di Hamsik, non Insigne, non Cavani e non Koulibaly e non Mertens: insomma c'erano anche stati degli uomini chiave che hanno portato in alto il vessillo color cielo. Ed oggi il cerchio si chiude per certificare che Firenze 2018 non era la mezzanotte delle ambizioni di questo organismo pazzesco che ha messo in piedi il presidente insieme a Giuntoli. Del futuro parleranno i posteri, noi ci siamo già lasciati sorprendere abbastanza. Che Spalletti resti o no, infatti, questa resterà l'annata che dovrà far capire ai napoletani e al calcio italiano tutto che conta la ricerca anche più di quanto contino gli uomini che poi devono praticarla. Se fai 4 secondi posti in 10 anni, vedrai che prima o poi arrivi primo. Per un motivo o per un altro. Il Napoli ha scelto il motivo del dominio, ha stracciato completamente tutti ma questo è un altro discorso per cui molti non sono neanche ancora pronti o non l'hanno ancora capito. Per adesso Napoli esce dalla voragine degli eterni secondi e vince il suo 3° tricolore dopo 33 anni. Non è numerologia ma all'uscita dall'Inferno, un altro toscano che ha scritto nel 1300 3 cantiche da 33 canti ciascuna, esclamava qualcosa che aveva pure a che fare con le stelle...

A cura di Mattia Fele

 

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