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editoriali

Al Napoli la vanità è già costata caro in passato: quello di Spalletti non è che un remake

Giovanni Frezzetti

I risultati e la classifica sorridono per l'obiettivo Champions, ma il problema esterni è il peccato originale di questa squadra

Il cielo su Napoli è rossonero: non per la vittoria del Milan al Maradona, ma per l'atmosfera che si è creata nell'ambiente partenopeo. Rosso come la rabbia dei tifosi e come quella che è mancata ai calciatori; nero come l'umore di chiunque tenga ai colori azzurri. Una partita di questa importanza che vede in palio un sogno per la città non può essere interpretata così. Ma c'è un solo colpevole: la vanità di Spalletti e della squadra.

La vanità di Spalletti e dei calciatori: il remake del Napoli di Sarri?

Ebbene sì, la vanità - quella che nella storia del calcio si sono potuti forse permettere il Barcellona di Guardiola, il Milan di Sacchi, il Manchester United di Ferguson - ora serpeggia nel Napoli di Spalletti. Premessa: questa squadra sta ottenendo grandi risultati, l'obiettivo è la qualificazione in Champions ed è ormai a un passo. Nonostante ciò, non si può girare lo sguardo altrove e far finta che non ci siano problemi strutturali. Spalletti ha un grande merito: ha dato equilibrio al Napoli e ha rimesso in piedi la fase difensiva. Ma quando si guarda una partita e si rimpiange la fase offensiva di Gattuso vuol dire che qualcosa non torna.

Il problema è sugli esterni. Col Milan Insigne e Politano hanno rappresentato appieno il peccato originale del Napoli: la vanità. Per Spalletti va tutto bene e non bisogna rompere i "coglioni". Ma non va tutto bene. Questa squadra non produce più soluzioni offensive degne di questo nome: nelle ultime gare è sembrato tanto un palla ad Osimhen e preghiamo. Col Milan Insigne ha fatto 46 passaggi di cui 26 all'indietro, Politano ne ha fatti 13 di cui 6 all'indietro: basta questo dato per spiegare che quando il pallone arriva sugli esterni nella metà dei casi non produce una giocata offensiva.

Giocherellare col pallone non vuol dire produrre bel calcio né tantomeno essere concreti. Insomma, nella famosa polemica Adani/Allegri tra giochisti e risultatisti il Napoli non rappresenta né l'uno né l'altro, il che è abbastanza grave. La strada da tracciare è ancora lunga, ma bisogna scrollarsi di dosso questa vanità nata a causa della buona posizione in classifica. In passato già con Sarri è andato in scena un film del genere. Ad eccezione dello scudetto scippato nel 2018, quella squadra avrebbe potuto vincere qualcosa sicuramente: invece no, la concretezza non era di casa, la vanità sì. Ovviamente con questo non si vuole sminuire di certo un bellissimo gioco che ha fatto divertire tutti gli appassionati di calcio, ma si vuole solo sottolineare come alle volte basterebbe un pizzico di concretezza. Spalletti nelle ultime gare ha dimostrato di essere troppo innamorato delle sue scelte: insomma, l'undici che scende in campo non si tocca fino al 70'.

Prendiamo ad esempio le ultime due gare: quella col Milan e quella con la Lazio. Con i biancocelesti al 57' viene sostituito Zielinski (un fantasma) e viene inserito Elmas: è la mossa vincente della gara. Col Milan, invece, il primo cambio è arrivato al 67' con la squadra che stava giocando malissimo ed era sotto per 1-0 già da 18 minuti. Eccola la vanità che si citava prima. E quindi cosa si potrebbe fare?

Ora che c'è la famosa settimana tipo Spalletti potrebbe sicuramente inventarsi qualche soluzione: cambi di modulo, nuove giocate offensive, spostare i calciatori in altre posizioni. Insomma, le idee di certo non mancano, sta a lui scegliere la migliore. Intanto, Spalletti sta facendo un gran lavoro dal punto di vista dei risultati, ma dovrà comunque costruire il Napoli del futuro e terminare un ciclo iniziato da Sarri e dare inizio a una nuova vita. E se porterà il Napoli in Champions sarà una stagione da 9. Se questo dovesse essere l'epilogo tecnico e calciatori saranno sicuramente entusiasti di quanto fatto. Ma chissà se si guarderanno allo specchio e diranno: "Dimmi di cosa ti vanti e ti dirò di cosa sei privo".

A cura di Giovanni Frezzetti

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