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editoriali
Appena si entra nel vivo della stagione ecco che torna alla ribalta il tema infortuni: i club di Serie A, e del resto d’Europa, si ritrovano praticamente decimati. Tra questi il Napoli che nelle ultime settimane sta vivendo un vero e proprio “drama” degno delle sit-com americane. Conte si ritrova a dover lavorare in totale emergenza cambiando moduli e formazioni per sopperire alle assenze. Qualcuno ha storto il naso ed ha puntato il dito contro il tecnico e la sua durissima preparazione: ma è realmente sua la colpa?
Conte e il suo staff sono finiti sotto la lente d’ingrandimento a causa della nomea che portano: allenamenti duri e preparazione carica di lavoro atletico sono i due tasselli che hanno creato l’alone di pregiudizio intorno al Napoli. Certo, ci sarà sicuramente una componente degli infortuni dovuta a questi pesanti carichi di lavoro, ma non può essere di certo la causa principale. Non lo diciamo noi, lo dicono gli esperti. Basta accendere quotidianamente le radio locali per ascoltare medici sociali, fisioterapisti e preparatori parlare degli infortuni. Tutti hanno un comun denominatore: le troppe partite. Ebbene sì, è banale dirlo ma si gioca troppo. Il calcio è cambiato rispetto a 20 anni fa e il fisico dei giocatori è ormai una discriminante per gli infortuni. Mentre prima ci si faceva male in partita o in allenamento a causa di un movimento o di uno scatto, ora sono sempre più comuni gli infortuni da affaticamento. Il muscolo pian piano si indebolisce e diventa maggiormente soggetto a strappi, stirature e simili. È chiaro il ruolo determinante che in questo hanno le troppe partite: coppe, nazionali e tornei tra scapoli e ammogliati, ormai si gioca tutto l’anno ogni tre giorni.
Tutto questo è accaduto nel tempo a causa della perdita di potere dei club nei confronti degli organismi calcistici. Le squadre ormai contano ben poco e si ritrovano anche sballottolate per il globo (come il caso di Milan-Como in Australia). Tutto ciò è accaduto a causa degli enormi introiti economici che portano le tv e i broadcaster: in Serie A, salvo rare eccezioni, non si giocano mai due partite in contemporanea per scelta di Dazn che così, durante i weekend, ha sempre in onda un match. Questa situazione ha spesso portato i club a giocare campionato e coppa a pochi giorni di distanza e senza il giusto riposo. Ne è un esempio ciò che ha dovuto affrontare il Napoli: domenica sera alle 20.45 sfida a San Siro col Milan, il mercoledì successivo lo Sporting al Maradona per la sfida di Champions. Poco riposo, un viaggio da affrontare e la preparazione della gara è stata praticamente nulla. Un caos insomma. Il denaro anteposto allo spettacolo e alla salute dei calciatori. Col tempo si è creata una vera e propria piramide di potere come nelle antiche società feudali: governano le Tv su FIFA e UEFA che a loro volta dispongono delle leghe nazionali a loro piacimento. Una situazione generata dall’avidità degli organismi internazionali che si sono ormai piegate al dio denaro. A nulla servono le denunce delle associazioni di calciatori e allenatori, né tantomeno le proteste dei tifosi per orari e giorni strani delle partiti e per i costi esorbitanti degli abbonamenti alle pay-tv. Nulla cambia, lo status quo resta immutato: il calcio non è più quello di una volta non è un frase banale, ma una realtà inconfutabile.
A cura di Giovanni Frezzetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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