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editoriali

Tra i meriti innumerabili di ADL le orecchie da mercante alle allegriane «lezioni di calcio»

allegri juventus
Come nella vita, anche nel calcio spesso dà lezioni chi non potrebbe, mentre chi può spesso esibisce in silenzio la competenza. O lascia che siano i fatti a strabiliare gli occhi

Mattia Fele

Massimiliano Allegri è indubbiamente un allenatore di spessore, che vince (a volte non si sa come ndr) e che è stimato da moltissimi addetti ai lavori e colleghi. Ha due finali di Champions, diversi Scudetti sul petto (molti meritati), ha una grandissima predisposizione per la fase difensiva e le sue squadre sono sempre state equilibrate - a volte dimesse - o hanno comunque trovato la quadra dopo diverso tempo. È un tecnico che riesce a indurre i suoi calciatori a trovare il gusto per la lotta, a "chiellinizzarsi" e prepararsi alla compattezza come in un reticolo cristallino di un diamante. Le sue convinzioni sono forti come le sue squadre e sono inattaccabili come la difesa della Juventus del 2018. Tuttavia, il tifoso medio-basso del Napoli - quello degli A16, Kim e Marlboro tre pacchetti un euro e via dicendo, per intenderci - dovrebbe appuntare sulla "Lista dei motivi per cui dire grazie ad Aurelio De Laurentiis" anche quello di non aver ascoltato le lezioni di calcio insopportabili che Allegri deve avergli propinato quando Gattuso è stato male.

Conta anche il "come"

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Neanche con troppa immaginazione pensiamo ai classici assiomi livornesi del tipo "il calcio è semplice", "si va in campo a guardare i gesti tecnici", "bisogna solo dare un'organizzazione difensiva" che il patron azzurro avrà ascoltato con pazienza e interesse da buon anfitrione. Le scelte poi però sono altro. Il calcio è un'altra cosa. Pensiamo a Kvaratskhelia come quinto a sinistra in un 3-5-2 ed ecco che un brivido fluisce dietro al trapezio e segue le vene fino al coccige. Pensiamo a Osimhen a centrocampo che scala sul possesso dei trequartisti avversari a mo' di tergicristalli, poi a Di Lorenzo come braccetto a destra schiacciato in area di rigore. Saranno più o meno gli stessi pensieri balenati nel cervello imprenditoriale ma anche competente di Aurelio De Laurentiis quando avrà deciso per il no ad Allegri e per il sì a Luciano Spalletti, allenatore e maestro del gioco del calcio. Ad Allegri in stagione finora il premio del salto dell'Istituzione, che coincide col primo posto in evitatore di sentenze FIGC (abbiamo 56 punti, anzi 58. Poi anche 38 Scudetti e non 36 etc), ma in campo si è visto ben poco. La Juventus schiera Chiesa, Vlahovic, Cuadrado, Danilo, Rabiot, Paredes e non riesce a trovare una fluidità che non passi da nervosismo, tensione. Come a Milano: un bel gioco e una convinzione tutta di nervi. Non di idee, mai. Ha avuto ancora ragione De Laurentiis, che forse in 18 anni di Napoli di errori ne avrà fatti due o tre ma c'è chi ancora esce di casa per comprare bombolette spray e attaccare striscioni di protesta, o (peggio) lo definisce "delirante". Loro invece sono autoreferenziali e quasi nulli, rispetto a ciò che realmente è Napoli e il Napoli. Che quest'anno ha una dimensione internazionale mai avuta e difficilmente ripetibile, grazie al lavoro di De Laurentiis e i suoi dipendenti (scelti da lui). Grazie a Kvaratskhelia in un 4-3-3 che ha segnato 12 gol e fornito 10 assist in Serie A dando spettacolo assoluto e Osimhen che ne ha fatti 21 anche senza Kostic il distributore automatico di traversoni. Il Napoli segna in mille modi diversi. E infine grazie a una città che - tranne quei 300 - è cresciuta tantissimo in equilibrio e puntualità nel tifo. Agli aforismi di Allegri De Laurentiis ha preferito vincere come aveva clamorosamente promesso.

 

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