E dire che andava tutto bene. Fino alla vittoria con il Lecce si parlava di un Napoli straripante, incontenibile e che doveva solo migliorare la fase difensiva. Fa anche ridere, perché era già migliorata: dopo le prime due giornate (7 gol in due partite) la porta era stata chiusa (1 gol in tre partite). Eppure dalla sconfitta col Cagliari tutto è cambiato…
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Troppo forte per avere paura
Il Napoli non decolla: ecco i problemi che affliggono la squadra
FATTORE MENTALE
Sì, potrebbe essere un problema mentale. Gli azzurri non sono nuovi a questo disagio: la paura di volare. Ci sta, non è banale: appena si avverte di poter afferrare quell’oggetto tanto desiderato questo vi sfugge. Come se sia fatto apposta, come se sia uno scherzo. Invece è tutto vero.
Non è un caso che lo stesso Mertens a più riprese abbia tuonato - dato la scossa? - sulla forza di questa rosa: completa, ricca di qualità. Eppure non basta, non basta mai: il match col Cagliari è stato decisivo.
Giocato benissimo, ma perso nel finale: quella partita che ti spezza le gambe, ti fa ricredere su tutto. Possibile, sarebbe anche giusto, ma non è così normale. Il Napoli ha accusato il Brescia (subendo troppo l’avversario) e ha avuto paura contro il Genk: nulla di compromesso neanche in Champions, ma fa riflettere l’involuzione mentale della squadra. Non è una cosa da poco: una partita sbagliata (Cagliari) non può alterare così tanto una squadra che lotta per il vertice.
CAMBIO DI MODULO
Se mentalmente il problema non regge, o quantomeno non è del tutto di testa, allora di cosa si tratta? Semplice, se non è la mente è il corpo. E’ il modulo, ma non in sé, bensì negli interpreti.
Il Napoli ha passato un’intera estate a provare e riprovare il 4-2-3-1: il mercato doveva portare James Rodriguez, ma così non è stato. Nessun problema, ci sono diversi giocatori in rosa capaci di coprire quel ruolo (secondo Ancelotti). Spazio dunque a Fabian, poi a Zielinski e infine il dietrofront.
Il 4-2-3-1 non funziona, anzi. Funziona, ma in determinate situazioni della gara: passa il concetto del Napoli camaleontico alla Carlo Ancelotti. Una squadra che senza il possesso del pallone gioca 4-4-2, mentre col possesso si riposiziona per formare un attacco a una punta e tre trequartisti.
Successivamente gli azzurri hanno inglobato nel proprio gioco la classica punta: Fernando Llorente. Lo spagnolo si trova bene a giocare in un attacco a due e lo stesso Ancelotti lo sa: la coppia Llorente-Mertens diventa la titolare, per gol e per prestazioni.
Di conseguenza il Napoli, prima della disfatta col Cagliari, ha diversi modi di interpretare la gara: senza punta si avrà un gioco fluido e palla a terra, con una fase offensiva costituita da un vero 4-2-3-1. Mentre con una punta di ruolo in campo, gli azzurri attaccheranno con il 4-4-2: terzini alti, esterni di centrocampo che tendono a fare densità nel centro del campo e cross ripetuti dentro l’area: spizzata di testa, altrimenti tiro dal limite dell’area (a seconda del cross del terzino).
Dopo il match contro il Cagliari è successo qualcosa: paura totale, il Napoli subisce troppo. Duri attacchi dei media: la squadra è sbilanciata. La verità è nel mezzo: gli azzurri non erano sbilanciati, ma a volte non coprivano al meglio il campo. Fatto sta che da lì Ancelotti ha cambiato: contro il Genk si è subito meno, ma comunque gli azzurri sono arrivati a sfiorare più volte il gol. La squadra è sembrata stanca, ma la verità è che non era spumeggiante come al solito. Ma per volontà, non per caso: infatti se Milik avesse segnato in una delle sue situazioni, a questo punto si stava parlando d’altro.
LA PARTITA DI TORINO
Questo segna un altro capitolo della storia azzurra. Una squadra che ha giocato per un anno e più con il 4-4-2 e che in estate ha provato il 4-2-3-1, inspiegabilmente torna a giocare con il 4-3-3. Vero, si poteva pensare che Ancelotti lo mascherasse con un 4-4-2 e l’esterno destro di centrocampo mobile lungo la corsia. La verità è che a destra non c’era Callejon (esperto e abile nella copertura), bensì Lozano (puro attaccante esterno). A Torino si è persa l’identità, infatti lo stesso centrocampo azzurro è stato impalpabile: non abituato a giocare a 3 e soprattutto con Allan perno basso a impostare il gioco. Sprazzi di azioni qua e là dati solo da accelerazioni del singolo giocatore (Lozano, Insigne o Zielinski), per il resto molta confusione e buona solidità difensiva.
Nel secondo tempo invece gli azzurri hanno cambiato e sono tornati all’antico: via Insigne, dentro Llorente e si passa al 4-4-2. Qualcuno potrebbe dire che il Napoli abbia giocato la seconda parte del match solo con palle dentro per la prima punta: è vero, ma alcune partite si vincono proprio così. Infatti per ben due volte Llorente è andato vicino al gol. Nel finale è mancata la cattiveria necessaria per vincere la partita, ma qui si ritorna al problema mentale.
EPPURE LA ROSA…
Il Napoli ha una rosa estremamente vasta e di alta qualità. Ancelotti ha dato identità di gioco e ha creato una squadra estremamente offensiva che in certe partite riesce anche a trovare l’equilibrio giusto. Sarebbe sbagliato identificare il problema nell’allenatore, ma d’altra parte non c’entra neanche la sfuriata dell’Insigne di turno. In queste ultime tre uscite (Brescia, Genk e Torino: contro il Cagliari si è disputata una gara buona) gli azzurri hanno dato segnali di insofferenza mentale e di ruolo: la paura di perdere e di subire l’avversario ha fatto sì che il Napoli si snaturasse e perdesse la bussola.
LA FORZA
Questa squadra è costruita per dominare nel gioco e nel divertimento: si liberi dalle catene imposte dai numeri. Si può subire qualche goal se se ne fa uno in più dell’avversario: battere la Fiorentina non è stato banale, contro la Juventus si è sfiorata l’impresa. Contro il Liverpool Meret ha fatto la differenza sullo 0-0: poi la gara si è vinta perché il Napoli non ha avuto paura di subire, voleva surclassare.
Basta scuse, basta sentir parlare di equilibrio. Questa squadra è troppo forte per essere guidata dalle paure: si giochi per dominare. E non per evitare di subire. Il Napoli prenda atto di quanto è forte, perché non c’è molto tempo e non si può più sbagliare. Ancelotti riprenda in mano la sua squadra e non abbia paura di orchestrare il calcio che lo ha fatto vincere in tutti questi anni. Che lo spettacolo - quello vero - continui.
The show must go on.
di Alessandro Silvano Davidde
Redazione
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