È quando quel passo di danza si libera lieve, una carezza sull’erba, che si resta rapiti dall’incanto: perché i gol, figuratevi, diventano un dettaglio persino marginale d’uno spettacolo da osservare con gli spalancati e nell’«ohhh» di un’ammirazione collettiva di quello stadio. E’ quando il calcio viene trasformata in arte che ci vorrebbe una «10» per definire un gesto e racchiuderlo nel simbolismo d’un poeta senza eguali, né eredi ch’è stato Sua Maestà: e non ci fosse stato Maradona, e non avessero ritirato quella teca, ma chiaro che sì, l’avrebbero poggiato sulle spalle di Insigne, per lasciarsi guidare. E’ quando scappa, leggiadro tra le linee, disegnando percorsi inimmaginabili con la fierezza di una «istituzione» (tecnica), che si ha il sospetto d’essere stati proiettati dall’invenzione di Ancelotti in una dimensione sconfinata e sconosciuta, persino indefinibile, per quel «monello» sfuggito ora dalla fascia che se ne va a spasso con quel talento spaziale un po’ ovunque, tra le linee, sottopunta, verso destra o anche sinistra, inseguendo un’ispirazione di quel genio ch’è in lui e che pare impregnare l’aria di Torino-Napoli.
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CDS: Il NUOVO INSIGNE PIù BELLO CHE MAI
Adesso è libero di agire: un mix di classe, istinto e fantasia, forse stufo di vivere di luce riflessa
«Sapevamo che con un nuovo allenatore avremmo dovuto ripartire quasi da zero, ma sapevamo anche che in questo Napoli gli interpreti non sono cambiati. E se ci sono calciatori con questa qualità, non contano i ruoli o gli schemi ma la tecnica e l’impegno». E’ quando Insigne ondeggia tra le stelle che si ha la percezione d’essere piombati in un Napoli che sta cambiando, assorbendo l’estro d’un «monello» ormai stufo di vivere di luce riflessa e di illuminare da sé questo Mondo, spargendo lampi della classe ovunque serva, nel palleggio prolungato, nell’affondo verticale, nella veronica d’intrattenimento e persino in quella postura autorevole e un po’ «tottiana» di chi si lascia consegnare il pallone per farne ciò che serve e anche quel che vuole. «Io spero sempre di aiutare i miei compagni, soprattutto in fase di non possesso».
E forse in questo Torino-Napoli c’è una verità che comincia a guidare nel futuro, perché è quando Insigne sfugge allo stereotipo di se stesso che sembra stia per nascere un leader nuovo, più sfrontato di quell’amabile canaglia della fascia sinistra, forse pure più autostimato del solito, perché se il corpo a modo suo sa parlare e inviare messaggi subliminali, la sfrontatezza dell’atteggiamento - però mai irridente - tracima sicurezza. «Ma qui bisogna restare concentrare partita su partita, prendendosi questi tre punti che significano tanto e pensando immediatamente alla prossima partita, che non è ancora la Juventus. Quella verrà dopo, sabato prossimo, ora la nostra concentrazione dev’essere riservata alla sfida di mercoledì sera e bisogna battere il Parma: altrimenti di cosa stiamo parlando? L’anno scorso siamo stati capaci di vincere a Torino e poi siamo arrivati secondi...E allora diventa importante la sfida di dopodomani sera, altrimenti cosa pensiamo a fare alla Juventus?».
E’ tutto Insigne, nella sua ampiezza, nella sua solennità, nel suo bagliore che finisce per ridurre ad aspetto secondario una doppietta brutale come solo gli avvoltoi dell’area di rigore sanno fare: ma queste sono cose degli umani, mentre invece, a Torino, s’è intravisto qualcosa di vagamente cosmico.
di Antonio Giordano Corriere dello Sport.
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