De Laurentiis nel film: "Ho sempre fatto l'imprenditore che investe il proprio denaro e l'intelligenza, vivo con impegno la mia professione. Quando sono arrivato non conoscevo il gioco del calcio, alcuni dei giocatori più importanti della storia del Napoli li ho portati io. Lo stesso Spalletti mi era sempre piaciuto per il suo carattere, ha gli attributi, ci mette del suo, che ben venga: io ci metto del mio, lui ci mette del suo. Uno dei giornalisti mi chiese cosa volessi fare, era una provocazione e lanciai il messaggio che avrei voluto riportare a Napoli lo scudetto. Mi divertii a vedere la faccia di Spalletti, come a dire mo sono problemi tuoi".
Bosello: "Gli antagonisti della squadra sono stati quelli sportivi, il Napoli ha vinto uno scudetto con una cavalcata fantastica ed abbiamo trovato l'antagonista. De Laurentiis ha innescato la storia con la sua frase sullo scudetto. Co-protagonista? No, il presidente dà l'incipit alla storia. La genesi di questo documentario parte da molto lontano, con Filmauro abbiamo scritto una serie sui sette anni di Maradona a Napoli: la stiamo continuando a produrre e a lavorarci sopra, ci siamo ritrovati a discutere spesso sull'eventuale vittoria dello scudetto. Perchè non mettere telecamere nei posti giusti per raccontare qualcosa che non accade da una generazione? Così è stato, l'idea sposata da Luigi De Laurentiis e dal presidente è stata una gestazione: lo spogliatoio di una squadra di calcio è un luogo delicatissimo, ha delle sue gerarchie ed è pieno di tensioni naturali dello sport, sappiamo che una telecamera cambia l'atmosfera. Noi siamo entrati attraverso l'occhio di una sola persona, che seguendo le nostre istruzioni ha trovato i punti di vista giusti per raccontare la storia. Un estraneo può smuovere sentimenti, poi siamo diventati parte di questa famiglia ma dovevamo iniziare con delicatezza".
Andrea Cini, co-regista: "Un appunto sul vestiario, eravamo vestiti in modo sportivo la prima volta nello spogliatoio ed era facile essere visti come degli alieni: dovevamo vestirci come loro, abbiamo avuto delle tute che creano già un effetto diverso, quando devi calarti in un luogo sacro con le sue regole che può percepire con difficoltà ogni elemento esterno. Siamo stati grati nell'avere un operatore già conosciuto dal mister e dai calciatori".
Bosello: "Noi veniamo da un'esperienza a National Geographic, siamo abituati a seguire le regole di una scuola documentaristica: autorevolezza ed intrattenimento, queste due regole le abbiamo seguite. Prima i fatti, poi dovevamo sintetizzarli, si vede che i caratteri emergono. Filtri da parte dei giocatori? Espulsi normalmente, per montare una intervista di qualche minuto ci vogliono 3-4 ore di intervista, poi anche i più burberi diventano se stessi ed i più timidi si aprono sinceramente. I calciatori hanno un loro linguaggio, sanno che non si possono spostare troppo, stavolta però hanno provato ad esprimere le loro sensazioni. Nei grandi documentari sportivi i giocatori raccontano l'esperienza di vent'anni prima, racconta il disamore o altro. Senza prendere in esame The Last Dance o il documentario sulla JuveCaserta di basket, i giocatori del Napoli l'hanno vissuto con una aderenza temporale molto stretta. Io ed Andrea abbiamo iniziato a scrivere la storia attendendo ogni domenica l'esito, poi un giorno Nicola Lombardo ci disse "e se non vinciamo?". Per me sarebbe stato ancora meglio, sarebbe stata la più grande debacle della storia (ride, ndr). Siamo partiti dall'idea che il Napoli di Spalletti fosse fortissimo, ho pensato che il gioco potesse valere la candela".
Andrea Cini: "La sconfitta contro l'Inter a gennaio e le telecamere? In quel momento c'è da essere delicati, ma avendo una sola telecamera e stando fuori dallo spogliatoio, alla fine quelli sono i momenti più interessanti. Dovevamo essere capaci di raccoglierli, nella delusione di una sconfitta è marginale la presenza di una telecamera, ci siamo accorti che non c'è stato un grande problema se non entrare all'inizio del post-partita. Da questo punto di vista è bastata delicatezza, poi la delusione sportiva passa".
Bosello: "La città protagonista? Ad un certo punto lo diventa nel racconto, il carattere della città di Napoli: io sono nato in Friuli e sono arrivato qui al primo scudetto di Maradona, quando vedo i festeggiamenti rimango sconvolto (ride, ndr). Ho deciso di seguire questa traccia, sapevo sarebbe stato qualcosa di straordinario vedere 33 anni dopo una generazione festeggiare. Ci sono testimonianze sul racconto che diventa realtà, c'è antropologia della storia. Racconta qualcosa che non può accadere in altre città, è qualcosa da indagare: non pensavo potesse esserci una anima collettiva così forte".
Sui calciatori: "Il giocatore più attore? Ci sono alcuni miei preferiti, ce ne sono tanti che hanno i tempi cinematografici: Elmas, Kvaratskhelia in georgiano, Osimhen, Juan Jesus. Victor forse è il personaggio più drammatico tra i caratteri: che attore mi ricorda? Denzel Washington (ride, ndr). Aggiungo Anguissa e Simeone".
Sulle riprese: "La prima scena girata? Prima della pausa e della loro partenza in Turchia. Il momento più brutto è stato il Milan, lì quei quattro gol pesavano anche sulle nostre spalle: ad un certo punto il mister dice "non è colpa loro", poi per punizione siamo stati sbattuti in tribuna stampa con la Juventus, la scaramanzia fa molto (ride, ndr). Ogni momento è stato divertente, io devo ringraziare Milan e Salernitana altrimenti il film non ci sarebbe".
Spalletti nel film: "Hai visto Kim? Quando arriva tum tum tum, sembrano i cingoli di un carramato".
Kim nel film: "Il mister si preparava per andare in guerra, anche noi ci siamo preparati allo stesso modo".
Juan Jesus nel film: "Un giorno arrivo prima, Spalletti metteva a posto cuscino e coperta e mi disse "vengo a vivere qua"".
Elmas nel film: "Io ero scioccato che dormisse qui a Castel Volturno, non me l'aspettavo: un allenatore grande come lui ha i soldi per poter dormire ovunque. Viveva in un letto di merda (ride, ndr)".
Paolo Condò nel film: "La scelta di Spalletti è stata monastica, è un insegnamento: se vuoi diventare un grande, devi fare una fatica pazzesca e bestiale".
Osimhen nel film: "Non sapevo che Spalletti avesse vissuto nove mesi lì".
Sulla produzione: "Questo è un documentario al 101%, non c'è alcuna ricostruzione nella narrazione: i protagonisti extra-sportivi servono a contestualizzare elementi del racconto che definiscono certi caratteri, ho cercato di scegliere tra quelli che erano i tifosi più conosciuti e persone che avevano la capacità di raccontare la napoletanità in un modo internazionale. Sono contento che ci sia il leader dei Massive Attack, racconta come un inglese possa vivere l'emozione del Maradona. Ci sono grandi attori napoletani, intellettuali. Il film è il film, ma il lavoro è iniziato da una serie: noi abbiamo scritto e prodotto una serie che vedrà la luce dopo il film, fatta da quattro episodi. Il film racconta dal giorno in cui parte, a quando i ragazzi alzano la coppa. La serie racconta le vite sportive dei calciatori, c'è molto più un contrasto tra le varie anime di questa squadra, e racconta ciò che nel film non si poteva vedere per una questione temporale, come l'addio di Spalletti. Dentro la serie c'è Ruggero Cappuccio che racconta cos'è essere napoletani".
Andrea Cini: "Nella serie si racconta cosa significa la vittoria, per raccontare il ruolo della città ci servivano queste voci, siamo andati su personaggi sia del giornalismo che della cultura napoletana che ci hanno spiegato, quando abbiamo tirato le somme, cosa significa vincere uno scudetto a Napoli".
Bosello: "La troupe della produzione ha contato in tutto circa 80 persone, sui costi ci sono dei costi standard: questo è al livello più alto del mercato televisivo e cinematografico. Ormai il documentario è stato preso in pieno dalla piattaforma streaming, sono gli standard internazionali che fissano il costo al minuto, che è circa di 6000 euro e questo qui arriva anche a 10000 euro. Sull'archivio sportivo, un minuto della FIFA costa 25mila euro. Poi i costi non standard variano, sono orgoglioso di dire che le musiche sono di Teo Teardo che ha sposato il progetto fin dall'inizio, è uno che ha lavorato con Sorrentino ed è amatissimo all'estero. Quando ha accettato, ho pensato "bingo".
Sul film: "Siamo partiti avendo scritto quattro episodi di una serie tv, è stato De Laurentiis che ha visto il materiale e ha avuto le sue idee, dicendo che gli piaceva e che avrebbe voluto un film da vedere al cinema. Questo è un documentario che dura un'ora e quaranta minuti, resterà nella storia della città perché tra 30 anni qualcuno andrà a ripescare quelle interviste. Le polemiche sono sterili, per mesi l'abbiamo visto dentro uno schermo da moviola e quando l'abbiamo visto al cinema è un'esperienza irraggiungibile. Chi era allo stadio vivrà una emozione diversa, vivrà un'esperienza collettiva al cinema che ha il suo peso specifico".
Sui napoletani: "Emigrati fuori dalla città? Nell'economia di un film sono veramente pochi gli istanti in cui si può approfondire un argomento. Noi raccontiamo una stagione calcistica, il calcio si vede ma noi raccontiamo gli uomini. Noi abbiamo dedicato tutto il finale a queste persone, il finale è tutto loro".
Andrea Cini: "Il momento più difficile? Farli uscire dal seminato durante le interviste, durante le gare invece dovevamo non farci notare. Il momento più bello da malato del calcio è vedere Spalletti che spiega come liberare il terzino, come deve venire dentro Kvara. Il momento più bello a Capodichino dopo Torino, l'operatore era sopra al pullman, ha preso cose incredibili, poi Udine ovviamente".
Bosello: "Nel documentario ci sono tutti i momenti "questo non lo mettere" (ride, ndr). Quei momenti lì in cui il mister alzava la mano era perchè aveva bisogno di stare con la squadra, giustamente. Lo faceva, come mi ha spiegato lui, perchè così faceva capire alla squadra che aveva il controllo della situazione. Io sono stato cacciato svariate volte dallo spogliatoio, continuavo a stare lì, mi prendevano e mi lanciavano (ride, ndr). Bisognava essere tignosi con Spalletti".
Sulla festa per il tricolore: "Ero a Napoli il giorno della vittoria, l'immagine finale del film è un'inquadratura di Spalletti al Maradona: siamo stati un minuto solo lui ed io, mi diverte molto che tra le migliaia di telecamere c'era solo la mia, è una immagine che mi porto dietro. Divertente quando il presidente ha reso noto che avrebbe fatto una serie o un film, eravamo in Inghilterra e leggemmo che ci stavano lavorando i migliori tra Inghilterra, America e Francia. Mi sono detto "ma ci stanno lavorando anche altri" (ride, ndr)".
Su Spalletti: "Non ho conosciuto gli altri allenatori quindi non possono fare paragoni, ma Lombardo mi ha sempre detto che se ci fosse stato Sarri non ci saremmo manco arrivati alla porta di Castel Volturno. Spalletti è una figura tragica, più di tutti assomiglia al protagonista di una tragedia greca. La prima volta che m'ha visto mi ha detto che non avevo mai lavorato la terra, il suo metodo del samurai ci ha fatto capire che dovevamo stare dentro la storia 12-16 ore al giorno per sei giorni a settimana".
Andrea Cini: "Il mio rapporto con Spalletti? Avevo paura di parlare di calcio con lui (ride, ndr). Siamo della stessa parte della Toscana, è uno legato alla sua terra e la rappresenta: a livello dialettico e del modo in cui ci si rapporta, non è normale. Il primo giorno lì Spalletti ci ha stretto la mano, anche ad una persona immaginaria, mi ha dato due pacche sul petto: è uscito dal seminato, e si rifletteva nel modo in cui parlava con la squadra. Vedendo altri prodotti con altri allenatori esteri, Spalletti non faceva discorsi da teatro ma dice cose che solo lui al mondo può dire. Ogni volta ti stupisce, va fuori da ciò che ti aspetteresti. Nella serie ci saranno ulteriori tre ore, una cosa meravigliosa sugli ultimi giorni di Luciano Spalletti".
Bosello: "Mai pensato che non si potesse fare il documentario, nelle difficoltà si trovano soluzioni creative: questa cosa resterà per i prossimi 30 anni, si attingerà a qualcosa che racconta uno dei momenti sportivi più importanti della storia di Napoli. Cose che abbiamo pensato di non poter mettere? Sicuramente le poche bestemmie (ride, ndr). Ci sono una serie di momenti divertenti che non trovano spazio nel tessuto narrativo, ad esempio gli scherzi di Spalletti nello spogliatoio, i giochi entrando e uscendo: Juan Jesus è divertente, crea un clima positivo. Quei momenti lì ci sono in minima parte, la narrazione deve avere il sopravvento ed avere ritmo. La serie? Finiremo nei prossimi mesi, poi sarà distribuita. Prima la finiamo, poi capiremo".
Sui giocatori: "Le telecamere li hanno motivato a non mollare? Io credo che certamente tutti gli uomini vengono influenzati dalla presenza di un occhio che li osserva, che è sempre indiscreto: sicuramente credo che i giocatori si siano sentiti investiti di una responsabilità in più, ma è tutta farina del loro sacco la vittoria dello scudetto".
Sullo scudetto: "Il segreto? Un fattore che moltiplica per mille tutti i caratteri di quelli in campo, ma anche di quelli fuori: Starace è un elemento fondamentale come Meret e Osimhen, ci sono degli equilibri in una squadra che sono delicatissimi, imprescindibili l'uno dall'altro. Tutte le volte che loro hanno giocato, lo hanno fatto portandosi dietro questa cosa qui: nel calcio ci sono i Cassano e i Balotelli, mentre nel Napoli l'amalgama era fortissima e queste persone si sono portate sulle spalle questa responsabilità. Io credo che il merito sia indubbiamente dell'area tecnica e dell'area sportiva allargata: tutti quanti hanno costituito questa armatura che ha portato la squadra a vincere lo scudetto. Un attore per Spalletti? Sean Connery".
Spalletti alla squadra prima del ritorno col Milan: "C'è tempo per giocare la partita, conta la maturità, possiamo fare anche 1-0 al 90'. Partite così restano sulla carta d'identità del calciatore, forza Napoli".
Spalletti prima della Juventus: "Il discorso non è facile e scontato, bisogna andare forte a rimettere a posto quello che c'è capitato l'altro giorno. L'unico problema che possiamo avere sono le ripartenze, non dobbiamo prenderle. C'è da avere personalità e fare le cose con tranquillità e con la nostra qualità. In campo voglio vedere il cuore, se non abbiamo stimoli oggi voglio vedere dove li abbiamo, cazzo".
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