Lunga e bellissima intervista quella rilasciata da Kalidou Koulibaly a ThePlayersTribune, nel corso della quale racconta del suo presente ma anche del passato, con una grande parentesi sul Napoli: "Credo che i bambini capiscano il mondo meglio degli adulti. Soprattutto per come vanno trattate le persone.
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Koulibaly: "Sono napoletano! Vi racconto Benitez, quel pazzo di Sarri e i soldi di De Laurentiis…"
Una lunghissima intervista nel corso della quale Koulibaly si racconta al 100%
A volte la gente mi fa queste domande nelle interviste ed è difficile rispondere, mi chiedono: “Kouli, che cosa provi quando la gente ti fa ‘buu buu’? Non ti dà fastidio? Che cosa bisogna fare?”.
La prima volta che ho veramente vissuto il razzismo nel calcio è stato contro la Lazio qualche anno fa. Ogni volta che prendevo palla sentivo i tifosi che facevano dei versi da scimmia. Mi dicevo che forse me lo stavo solo immaginando. Quando è uscita la palla ho chiesto ai miei compagni: “ma lo fanno solo a me?”.
La partita è ripresa e mi sono accorto che alcuni tifosi della Lazio facevano ‘buu buu’ ogni volta che toccavo la palla. È impossibile sapere cosa sia meglio fare in quel momento. Ci sono stati dei momenti in cui sarei voluto uscire dal campo per mandare un messaggio, ma poi mi sono detto che era proprio quello che si aspettavano che facessi. Ricordo che mi dicevo “Perché lo fanno? Perché sono nero? Non è normale essere nero in questo mondo?”.
Stai facendo il gioco che ami come avevi fatto mille volte prima. Ti senti ferito. Ti senti insultato. Arrivi addirittura a un punto dove quasi ti vergogni.
Dopo un po’ l’arbitro, il Sig. Irrati, ha fermato il gioco, mi è corso incontro e mi ha detto: “Kalidou, sto con te, non ti preoccupare. Facciamo finire questi ‘buu’. Se non vuoi finire la partita fammi sapere”.
Penso che sia stato molto coraggioso, ma gli ho detto che volevo finire la partita. Hanno fatto un annuncio al pubblico e, dopo tre minuti, abbiamo ripreso a giocare. Ma i ‘buu’ non si sono fermati.
Dopo il fischio finale camminavo verso il tunnel ed ero arrabbiatissimo, ma poi mi sono ricordato di qualcosa di importante. Prima della partita c’era una giovane mascotte con cui sono entrato in campo mano nella mano, mi aveva chiesto la maglia e gli avevo promesso di dargliela dopo la gara. Quindi mi sono girato e sono andato a cercarlo. L’ho trovato sugli spalti e gli ho dato la mia maglia. E indovinate la prima cosa che mi ha detto?
“Chiedo scusa per quello che è successo.”
Mi ha colpito molto. Questo bambino chiedeva scusa per non so quanti adulti, e la prima cosa a cui pensava era come mi sentivo io".
IL SUO PENSIERO - "Dobbiamo fare di meglio. Capita un episodio del genere e le società fanno un bel comunicato e poi succede di nuovo. Si vede invece quanto è cambiata la situazione in Inghilterra. Quando viene identificata la persona responsabile, viene radiata a vita dallo stadio. Spero che un giorno sarà così anche in Italia. Come fai a cambiare la gente? Come gli entri nel cuore?
Non ho le risposte a queste domande. Posso solo raccontarti la mia storia.
Magari le persone mi guardano e vedono solo un calciatore oppure un calciatore nero. Ma sono molto più di questo. Dico sempre ai miei migliori amici: “Se mi vedete come un calciatore e non come il piccolo Kouli, e non come il vostro amico, vuol dire che ho fallito nella vita”.
NAPOLI - "C’è un detto che recita: “Quando impari tutte le lingue, puoi aprire tutte le porte”. Non ti mento, sono colpevole anch’io di aver avuto pregiudizi su certi luoghi e certe persone. Prima di venire a Napoli ero in ansia perché non sapevo parlare la lingua e la gente parlava male della mafia e così via. Non ci ero mai stato, quindi non sapevo se raccontassero la verità".
BENITEZ E L'ARRIVO IN AZZURRO - Giocavo al Genk in Belgio e il mio amico Ahmed sarebbe venuto a stare da me per qualche giorno. Stavo aspettando che arrivasse in stazione quando ricevetti una chiamata da un numero sconosciuto.
Risposi in inglese: “Pronto, chi parla?”
“Buon giorno, sono Rafa Benitez.”.
Gli dissi: “Dai Ahmed, smettila di prendermi in giro. Sono qui ad aspettarti” e attaccai.
Mi chiamò di nuovo e iniziai ad arrabbiarmi.
Gli dissi: “Dai Ahmed, basta. Sono qui. A che ora arrivi?”.
“Pronto? Sono Rafa Benitez”.
Attaccai di nuovo il telefono.
Poi mi chiamò il mio procuratore e risposi.
“Ciao Kouli, come stai? Hai già parlato con Rafa Benitez del Napoli? Ti chiamerà.”
Gli risposi: “Cosa? Ma stai scherzando? Credo che mi abbia appena chiamato. Pensavo che fosse il mio amico a farmi uno scherzo!”.
Il mio procuratore allora chiamò Rafa per spiegargli cosa che era successo così lui mi richiamò e io risposi come se niente fosse.
Gli dissi: “Hello, Rafa! Hello! Bonjour! Hola! Hello!”
“Ciao, vuoi che parli in inglese?”
“Come preferisce, possiamo parlare nella lingua che vuole.”
Alla fine abbiamo parlato in francese.
Mi fece mille domande: “Sei fidanzato, ti piace andare a ballare, conosci la città, i giocatori?”
Gli risposi: “Allora mister, conosco Hamsik”.
A dir la verità non conoscevo veramente i giocatori e non sapevo niente della città ma ovviamente conoscevo Rafa Benitez e tutto quello che mi disse mi fece un’ottima impressione.
Dopo la telefonata chiamai subito il mio procuratore e gli dissi: “Fai tutto quello che devi fare. Andiamo a Napoli”.
Mancavano solo 48 ore alla fine del mercato di gennaio e il Napoli non riuscì a raggiungere un accordo con il Genk. Ma Rafa mantenne la parola e mi prese quell’estate. Quando arrivai per le visite mediche ero ansioso perché non parlavo ancora l’italiano. Il presidente De Laurentiis mi salutò nel corridoio".
DE LAURENTIIS - De Laurentiis mi guardò un po’ storto e mi disse: “Quindi sei tu Koulibaly?”
“Sì, sono Koulibaly”
“Ma non sei alto? Ma non eri alto 1,92?”
“No, presidente, sono alto 1,86”
“Mannaggia! C’è scritto dappertutto che sei 1,92! Devo parlare con il Genk per avere dei soldi indietro!”
“Nessun problema, presidente. Paghi pure il prezzo pieno, gli darò ogni centimetro in campo, non si preoccupi”.
Gli piacque molto questa frase. Si mise a ridere e mi disse: “Va bene, sei il benvenuto qui a Napoli, Koulibaly. Benvenuto”.
LA TATTICA - Dopo le visite mediche, Rafa mi portò a pranzo e la prima cosa che fece dopo che ci eravamo seduti, prima ancora che ci portassero i menù, fu di prendere tutti i bicchieri di vino dalle altre tavole. Li mise sul tavolo e li sistemò. Nella mia testa, mi dicevo, ‘Che sta facendo? È pazzo?’.
Lui mi disse: “Ok, ora ti faccio vedere la tattica.”
Poi arrivò il cameriere e il mister spostò i bicchieri qua e là dicendo: “Noi giochiamo così. Vai qua, poi vai là, capito? Ora bisogna imparare due cose in fretta. Devi imparare la nostra tattica e devi imparare l’italiano”.
“Va bene, mister”.
Quando poi tornai da una breve vacanza Rafa mi chiuse in una stanza con il match analyst e mi fece vedere le mie giocate migliori. Lanci bellissimi, dribbling e interventi in scivolata.
Mi disse: “Questo, questo e quest’altro…”
“Bello, no?”
“Non fare più queste cazzate.”
“Ma ho preso la palla!”
“Questo è culo! Hai recuperato la palla grazie alla tua forza fisica. Se il tuo avversario fosse stato più intelligente, saresti stato in difficoltà.”
Poi mi fece vedere altre immagini. Niente di che. Azioni normali.
Sorrise e disse: “Così. Così va bene. Va benissimo così.”
“Mister, ma sono giocate semplici.”
“Appunto Kouli”.
ITALIA E NAPOLI - Ero un ragazzo quando sono arrivato in Italia. Sono diventato un calciatore migliore perché ho imparato la tattica ad alti livelli. Sono così precisi qui sulla tattica, ma la cosa più importante è che sono diventato un vero uomo di famiglia e un vero napoletano.
Anche quando torno a casa in Francia ormai, i miei amici non mi chiamano più “il senegalese” o “il francese”, ma dicono: “Ecco il napoletano”.
Napoli è una città che ama la gente. Mi ricorda l’Africa perché c’è tanto affetto. La gente vuole toccarti, vuole parlarti. La gente non ti tollera, ti ama. I miei vicini mi vedono come un figlio. Da quando sono arrivato a Napoli sono un uomo diverso. Sono davvero tranquillo".
UN ANEDDOTO SPECIALE - "Non mi scorderò mai di quel giorno perché è una storia pazzesca che riassume perfettamente Napoli.
Mia moglie era andata in ospedale la mattina e quella sera avremmo giocato contro il Sassuolo in casa. Eravamo in sala video ed il mio telefono continuava a vibrare. Di solito lo spengo ma ero preoccupato per mia moglie.
Mi aveva chiamato cinque o sei volte.
Il nostro allenatore all’epoca era Maurizio Sarri. È un tipo molto intenso, quindi non volevo rispondere. Alla fine uscii di corsa, risposi al telefono e mia moglie mi disse: “Devi venire subito, nostro figlio sta arrivando”.
Allora andai da Sarri e gli dissi: “Mister, mi scusi ma devo andare. Sta nascendo mio figlio!”.
Sarri mi guardò e mi rispose: “No, no, no. Ho bisogno di te stasera, Kouli. Mi servi davvero. Non puoi andare”.
Gli dissi: “Sta per nascere mio figlio, mister. Faccia quello che vuole. Mi dia una multa, una squalifica, non mi importa. Io vado”.
Sarri sembrava così stressato e fumava una sigaretta. Fumava, fumava e rifletteva e poi alla fine disse: “Va bene puoi andare in ospedale ma poi devi tornare per la partita stasera. Ho bisogno di te, Kouli!”.
Andai di corsa in ospedale. Se non sei diventato padre per la prima volta, non puoi capire questa sensazione. Non puoi perderti la nascita di tuo figlio. Arrivai a mezzogiorno e, grazie a Dio, alle 13:30 era nato un piccolo napoletano. L’abbiamo chiamato Seni. È stato il giorno più bello della mia vita.
Alle 16 mi chiamò il mister. Questo tipo, devi capire… è pazzo. Lo dico nel senso positivo ma è pazzo!
Mi disse: “Kouli? Ma torni? Ho bisogno di te. Ho veramente bisogno di te. Ti prego!”
Mia moglie stava ancora recuperando le forze e probabilmente anche lei aveva bisogno di me. Ma non volevo deludere i miei compagni di squadra perché gli voglio davvero bene. E amo la città di Napoli. Mia moglie mi disse di andarci e io andai allo stadio. Stavo iniziando a prepararmi per giocare e Sarri entrò negli spogliatoi e attaccò l’undici di partenza al muro. Io cercavo, cercavo…
Non c’era il mio numero.
Gli chiesi: “Mister, ma sta scherzando?”
“Cosa? È una mia scelta.”
Mi aveva messo in panchina!
Non mi aveva messo neanche titolare!
Gli dissi: “Mister, mio figlio, mia moglie. Li ho lasciati lì. Mi ha detto che aveva bisogno di me.”
“Sì, abbiamo bisogno di te in panchina.”
Tutto quel casino e non giocavo neanche titolare!
Ora che ci penso, mi viene da ridere, ma in quel momento mi veniva da piangere.
Magari pensi che questa sia una storia negativa. Ma per me questa storia è tutto quello che amo di Napoli. Se la dovessi spiegare, non si capirebbe. È come cercare di spiegare una battuta. Devi venire in città e la sentirai. È pazza sì. Ma calda."
Redazione
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