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Bianchi: “Cori? Ancelotti ha ragione, è ora di smetterla. Io insultato dappertutto”

Bianchi: “Cori? Ancelotti ha ragione, è ora di smetterla. Io insultato dappertutto”

Ottavio Bianchi, tecnico del Napoli scudettato, ha parlato ai microfoni de Il Mattino

Redazione

Ottavio Bianchi, tecnico del Napoli scudettato, ha parlato ai microfoni de Il Mattino. Ecco le sue dichiarazioni: "Mi viene la nausea a pensare che nulla nel calcio è cambiato in questi anni. Io non riesco più neppure ad andare a vedere la partita perché se sento quello seduto vicino a me insultare qualcuno, mi viene voglia di alzarmi e litigarci. È così da quando ero calciatore, poi è andato sempre più a rotoli: al Nord mi chiamavano terrone, al Sud leghista. Un tormento. Domani a Bergamo? Se ci sono i cori, l'arbitro mandi tutti a casa. Senza esitazioni. Perché a far finta sempre di nulla, abbiamo visto a che punto siamo arrivati".

Sulle parole di Ancelotti: "Ha ragione. È arrivata l'ora di smetterla. Cori ironici? Ma chi ride di certe canzoni? Detesto gli insulti, tutto ciò che può sembrare di matrice razzista o offensiva non dovrebbe sentirsi negli stadi. Io certi tifosi non li capisco, non li ho mai capiti. E anche io, devo ammetterlo, non mi sono mai sforzato di capirli: a ogni contratto che firmavo chiedevo di non aver rapporti con loro, non volevo prendere parte a incontri o inaugurazioni o altro. E infatti, solo i napoletani mi hanno sempre applaudito".

Sugtli insulti: "Io ho allenato a Roma e a Napoli e ho fatto il giro d'Italia con il mio mestiere: a seconda dei casi, mi davano del meridionale e del terrone quando andavo al Nord, del leghista e polentone se ero al Sud. Gli insulti, personalmente, li ho presi dappertutto: è un male comune al nostro Paese. Una cosa triste, insopportabile, a cui nessuno ha voluto mettere un freno".

Su come cambiare le cose: "Non lo so se basta far perdere a tavolino la gara o penalizzare. So solo che troppi maleducati vanno allo stadio, gente che non ama il calcio e che non vive il calcio come aggregazione. Il calcio non può sempre far finta di niente. È questione di rispetto, di educazione, di regole da rispettare: io da bambino, nell'oratorio di Brescia, per giocare con i grandi dovevo accettare una condizione: partecipare alla Messa. E ovviamente, accettavo. Ci insegnavano a menarci in campo, non a insultare l'avversario".