Carlo Ancelotti, allenatore azzurro, ha parlato a Sky Sport nella trasmissione di Paolo Condò della sua carriera. Ecco le sue parole:Giocatore o allenatore - Difficile dire in quale carriera abbia fatto meglio. Da calciatori mi vedevo con molti limiti: da allenatore puoi mascherare, da giocatore no. Mi vedevo lento e poco lucido. Nostalgia? Non ne ho: non sono un tipo nostalgico. Quello che dovevo fare l'ho fatto, sono rimasto soddisfatto.Test atletici - Vedevo che ero più lento di Baresi e altri. A me non interessava: Sacchi me li nascondeva. Berlusconi mi chiamava e mi chiedeva se ero sicuro di stare bene, ma le ginocchia era a posto. Ruolo del vice allenatore - Quello che ho detto a mio figlio è frutto dell'esperienza con Sacchi nel Mondiale. Bisogna fare da filtro e non riferire tutto all'allenatore in prima: dicevo ad Arrigo che i giocatori erano sempre contenti e felice degli allenamenti, quando invece mi riferivano che erano stanchi.Roberto Baggio ai Mondiali - In quel periodo ero il terzo assistente: ero in tribuna e facevo lo scout. Adesso l'analisi tecnica è molto rapida, una volta era molto lenta. Facevo uno scout orale e tutta la partita facevo quello. Quando dettai il cambio di Baggio non ho pensato che fosse matto: ho grande stima di Sacchi.Rischi esonero - Spesso sono stato in discussione come allenatore. Sia a Reggio che a Parma: una volta ci fu una cena a casa di Tanzi, mi dicevano che bisognava vincere perché un pareggio non poteva bastare. Alla fine vincemmo: l'allenatore del Milan era Arrigo Sacchi.Cosa è più importante - La cosa più importante nel gioco è il giocatore, non l'allenatore. Il sistema si deve sacrificare in base ai giocatori che hai e non viceversa. Io all'epoca del Parma pensavo che la formazione era più importante, poi cambiai idea alla Juventus quando incontrai Zidane. Lui come calciatore poteva fare molto di più. Zidane allenatore - Ognuno mette il suo: prende le proprie esperienze e inizia a gestire le situazione. Poi dipende dal carattere: tanti allenatori cambiano il modo di fare a seconda di che tipi sono. Tre Champions di fila? Sì, so che al Real Madrid lui è molto stimato da tutti. Quella è stata la chiave.Juventus ed eterno secondo - Se vai lì è per vincere. Io so che lì abbiamo dato il massimo, per cui non mi ha dato fastidio l'etichetta di eterno secondo. Era la fine di un ciclo, infatti con la cessione di Zidane hanno rifondato tutto.La chiamata del Milan - Il Parma mi aveva richiamato, stavo andando a firmare per loro: in quel momento mi hanno chiamato i rossoneri. Non mi sono comportato bene con i ducali, ma il richiamo era forte per il Milan. Albero di Natale - E' stata un'invenzione a seconda della qualità che avevo. Ero diverso da Parma, poi c'era una voglia della società nel mettere solo giocatori forti. La prima volta che lo provai fu a La Coruna: lo usai per difendere meglio, poi si è visto che anche davanti è andato bene. Liverpool, tragedia e gloria - Non ho mai più rivisto quella partita, mi è capitato per caso pochi mesi fa su Sky. L'ho riguardata con attenzione: noi avevamo fatto una gran partita, il Liverpool aveva finito la benzina molto prima di noi. Poi quando arrivi ai rigore è finita. Volevamo rincontrarli, avevamo voglia di rivincita. Miglior rivincita? Sicuramente nel 2003, contro la Juventus. Lì fu cancellata l'etichetta di eterno secondo.Esperienza in Europa: Chelsea - Non so cosa sia successo con il patron dei Blues: ho fatto subito bene il primo anno, poi è finito tutto subito. Non avevo un gran rapporto con lui, credo sia scemato tutto nel tempo. Ricordo che con il Chelsea sono state particolari le chiamate prima di prendermi: chiedevano come trattavo i giocatori che non giocavano e perché. Con loro ho avuto 8 colloqui: quella in Inghilterra è stata un'esperienza incredibile. Avevo una squadra veramente forte, una macchina da guerra.Un salto a Parigi - Primo anno male, secondo un trionfo. Una società con grande carica e voglia: mi davano tantissima motivazione. Quando è arrivata l'offerta del Real Madrid io avevo già rotto con il PSG a febbraio: sarei andato via in ogni caso. Tutti pensano che io sia andato via perché era il Real. Se sto bene in un posto perché andare via? A me Parigi piaceva molto, c'era anche Ibra. Allenarlo è la cosa più divertente al mondo: non hai nessun problema con lui. Parlava di Crespo, della sua esperienza e mi ha detto: "La differenza nel calcio la fanno Messi, Ronaldo e Ibra". Io a Napoli lo prenderei: costa troppo, ma con lo sconto volentieri. Ronaldo e il suo spazio - Non va forzato e non gli va chiesto di spostarlo. Io ci ho provato un po': per me poteva giocare da centravanti, ma lui la sua posizione se la trova da solo. Lui voleva partire da sinistra per tirare, era sicuro di sé. Ronaldo l'ho visto solo per le due partite contro la Juventus, niente più: non è vero che mi ha cercato per allenare la Juventus. E poi in bianconero ci sono già stato. Il tempo nel calcio - C'è sempre una possibilità. Le partite finiscono con il fischio dell'arbitro, non puoi mai essere sicuro.Bayern e cambiamenti - E' difficile far cambiare le cose quando vanno bene. Un po' come accaduto a Napoli: è difficile cambiare quando vedi che la squadra domina le partite, non è facile far passare una nuova idea di gioco. A Monaco era il momento di ringiovanire e cambiare, non solo nella rosa ma proprio nella metodologia della società. Lì ha vinto la conservazione, io ho provato a cambiare le cose. Giusto così, perché se c'è uno scontro filosofico allora è giusto cambiare. Il periodo napoletano - Volevo tornare in Italia. Non credo che non tornerò più all'estero, ma ora avevo voglia di tornare. Erano poche le squadre dove andare e inoltre il progetto mi piace: il Napoli di Sarri mi piaceva tanto e oggi ho visto una squadra che può crescere e vincere in Italia. Credo che questa società sia destinata a crescere. La città di Napoli: Maradona - E' stato il calciatore più temibile e difficile da marcare nella mia carriera. Provavo a fermarlo: qualche colpo, ma lui non si è mai lamentato. Era molto corretto, non c'era neanche gusto nel dargli qualche calcetto. Ricordo benissimo quella squadra: quando venivi a giocare qua la gente ti disturbava nella notte, poi c'era grande rispetto per una squadra che meritò di vincere. Quella dell'epoca era una rivalità sportiva: niente odio né violenza. Allenare la squadra di Napoli: il paladino - Napoli è presa di mira: in Italia è un problema vasto. La violenza, l'insulto: fa parte solo del nostro calcio, è una brutta roba. Non è normale da nessun'altra parte: non è solo l'insulto razziale, ma l'insulto in sé. Il dover andare allo stadio con la polizia: non va bene.Polemiche in Italia - Molte meno. La VAR ha aiutato tanto, ma polemiche ce ne sono meno. E' chiaro che la rivalità debba essere mantenuta, ma nulla di più. De Laurentiis come Berlusconi - Aurelio ha grande rispetto del mio lavoro: chiede informazioni, ma non mette mai becco. Cerca di capire, ma si ferma lì. Non è da tutti. Naturalmente è attento all'andamento della società: non chiede la vittoria, vuole un bello spettacolo e fare una bella partita. Rendere felici i tifosi.Passaggio di Sarri alla Juventus - Non mi facilita il lavoro: è già facile di suo. Non è un lavoro difficile, perché mi diverte. Se vuoi discutere e avere problemi allora ne avrai uno tutti i giorni, ma io non sono così.
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Ancelotti ha parlato a Sky Sport
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