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Eto’o: “L’Italia è il Paese meno razzista d’Europa, ma qualcuno ne sporca l’immagine”

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Le parole dell'ex campione del Camerun

Giovanni Montuori

Samuel Eto’o, ex calciatore ed attuale presidente della federazione del Camerun, ha parlato a La Repubblica di vari temi legati calcio e do una gara di beneficenza che si terrà a San Siro il 23 maggio in cui ci saranno vari campioni quali Messi, Puyol, Sneijder, Pirlo, Seedorf, Dybala, Totti, Pippo Inzaghi, Shevchenko, Thuram. Tutti insieme appassionatamente per dare un calcio a chi vuole un pallone segregato. Il ricavato della serata andrà alla fondazione di Eto’o e a Slums Dunk.

Eto'o sul calcio e il razzismo

Eto’o: “L’Italia è il Paese meno razzista d’Europa, ma qualcuno ne sporca l’immagine”- immagine 2

L'intervista ad Eto'o:

Eto’o, lei schiererà gli Eroi dell’Integrazione.

«Si. Non voglio parlare di calcio, ma di quello che il calcio può fare per favorire integrazione e inclusione. È un mezzo straordinario perché vola sugli ostacoli e parla tutte le lingue. Ho giocato in molti Paesi e da due, Spagna e Italia, sono stato accolto benissimo. Bisogna essere capaci di guardare oltre il pallone, perché tutti noi giocatori abbiamo la possibilità di godere del bello e di apprendere l’arte e la cultura di altri Paesi. Il messaggio è che possiamo vivere insieme, dentro e fuori il campo, rispettandoci, anche se ci sono società che si credono più importanti e che tendono subito ad affermare gerarchie».

Accidenti, sembra un predicatore: Eto’o calling.

«Ho vissuto e fatto esperienze e credo nella multiculturalità. Lo sport è bello perché ha un ruolo per tutti, e i veri SuperEroi sono quelli che danno esempi di inclusione e di integrazione. Non è che a me il verso della scimmia negli stadi non l’hanno fatto, e ho avuto problemi anche in strada. Però vi dico che l’Italia è il Paese meno razzista d’Europa e forse anche il meno ipocrita. La mia famiglia è rimasta a vivere a Milano, mia moglie ci si trova bene, quelle nello stadio sono minoranze, sporcano l’immagine del Paese, non minimizzo, vanno perseguite, anzi mi chiedo come mai non si sia riusciti a debellare certe brutte manifestazioni. In Inghilterra ce l’hanno fatta. E non parlo solo di punizioni. Bisogna iniziare dai bambini che sono vittime innocenti, e non mollare mai la presa, perché poi gli adolescenti tornano a casa e sentono i grandi fare certi discorsi».

Favorevole all’ingresso di una rappresentanza dei tifosi nei club come in Gran Bretagna?

«Molto. Giochiamo per i tifosi. È giusto che siano compartecipi di alcune decisioni. È un modo per dare loro responsabilità e per avviare un dialogo. Io credo che il razzismo vada dibattuto, non ignorato. Meglio dire c’è, è orribile, ma parliamone, senza fare finta di niente. Su che cosa si basa? Su uno sfruttamento anche economico. Prendiamone coscienza».

Come ha convinto Messi a partecipare?

«Ero al Barcellona quando è arrivato in squadra, lo vedevo allenarsi, gli ho dato consigli. Che vuoi fare, gli dissi: essere un giocatore anonimo o impegnarti a diventare qualcuno? Per me è il migliore. Ogni tanto ci sentiamo, così l’ho chiamato. Due altri tipi fenomenali per me sono Bolt e Ronaldinho. Sempre sorridenti, performer per la gioia del pubblico. Hanno cambiato l’immagine dei campioni musoni, concentrati solo su sé stessi».

Appena nominato presidente federale si è messo contro il ministro dello Sport.

«Sono stato eletto con un programma e l’ho mantenuto scegliendo come ct Rigobert Song, ex giocatore della nazionale, al posto del portoghese Toni Conceiçao. E ci siamo qualificati per i Mondiali. Voglio bene al mio Paese, ne sono appassionato perché come ho sempre detto: vivo in Europa, ma dormo in Africa».

Ha detto che Mbappé non gioca in Africa.

«Sbagliato. Ho detto che è nato a Bordeaux, che è un fenomeno, ma che appunto ha la nazionalità francese. E che quello a cui dobbiamo puntare in Camerun è avere più tesserati e forse troveremo 300 ragazzi su cui lavorare di cui 2-3 possono magari avere qualche dote di Mbappé. Volevo sottolineare che i talenti vanno cercati e cresciuti, oltre che ammirati».

Da giocatore si lamentava che il Pallone d’oro ad un africano lo danno con difficoltà.

«Era una constatazione. Se sei un giocatore africano è più difficile vincerlo. Ci è riuscito nel ’95 solo Weah. Ventisette anni fa. Dovrebbe anche cambiare il racconto sportivo che fate del nostro continente. Non siamo solo povera gente, condannata da un destino disegnato da altri, ma abbiamo un’eccellenza tecnica: Joel Embiid, stella Nba, dei Philadelphia 76ers, è camerunese, e anche se si è appena fatto male è stato uno dei migliori giocatori del campionato, il ciclista eritreo Biniam Girmay ha vinto la Gand-Wevelgem, primo corridore africano a conquistare una grande classica. Siamo bravi, non solo poveri».

Lo sport ha subito solidarizzato con l’Ucraina.

«Bene. Le guerre sono brutte. In Africa ce ne sono tutti i giorni e si conoscono i nomi di chi le fa, ma sembra non importare a nessuno. Però chi scappa dai conflitti africani non è ben accolto o forse non è abbastanza vittima? Eppure l’Europa prende il nostro gas, i nostri diamanti, i nostri prodotti. Lo sport ha una voce forte, sa farsi ascoltare, andare oltre i pregiudizi. Deve sempre accogliere, non allontanare. A Wimbledon sarebbe stato bello far giocare in doppio ucraini e russi insieme per poter dimostrare che la convivenza su questa terra è possibile. Soprattutto se giochiamo insieme, senza costruire false superiorità. Dobbiamo provarci».