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Raspadori: “Napoli motivo d’orgoglio, ecco perché ho accettato. Sulla Nazionale…”

Raspadori
Intervista dell'attaccante italiano ai microfoni de La Gazzetta dello Sport inerente al Napoli e al momento vissuto dalla squadra azzurra: le dichiarazioni rilasciate
Edoardo Riccio
Edoardo Riccio Giornalista 

Quest'oggi, Jack Raspadori ha rilasciato un'intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. L'attaccante azzurro ha parlato del Napoli e del momento vissuto dalla squadra, con un sguardo rivolto alla Nazionale e al futuro.

Le parole di Raspadori

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Di seguito le dichiarazioni dell'attaccante italiano: Università e calcio sono compatibili? "Siamo sempre di più, per fortuna, a studiare e giocare. Io sto cercando di laurearmi in scienza motorie. Altri, come Pessina, Pobega, Buongiorno e prima ancora Chiellini, hanno dimostrato che non è impossibile far convivere lo sport ai massimi livelli con la propria formazione. Vorrei combattere gli stereotipi sui calciatori: persone senza curiosità, che pensano solo al pallone e ai soldi, senza rilevanti qualità umane. Non è così, mi creda. Sono una persona pratica, molto concentrata sul quotidiano, non faccio voli pindarici. Ma mi piacerebbe dimostrare, in futuro, che i giocatori di calcio possono vivere coltivando il gioco e il sapere, i libri e i calci d’angolo".


Sull'avvio della sua carriera calcistica: "Per strada, come tutti. Nella piazza del mio paese, Castel Maggiore, fino a tardi la sera. Poi in una società dilettantistica che porta un bel nome “Progresso calcio”. Società seria in cui si insegnano, insieme, tecnica e valori. A undici anni, con una telefonata ai miei, fui trasferito al Sassuolo, dove mi sono trovato benissimo. Ricordo il primo giorno. L’allenatore, Papalato, non conosceva nessuno: mise quelli che vengono chiamati “i cinesini”, cioè dei coni di plastica, per indicare i ruoli previsti e ci disse di scegliere il nostro. Io avevo sempre giocato a centrocampo e presi quello. Lui mi guardò giocare e poi mi disse che il mio posto era quello di centravanti".

Sulla Nazionale: "Solo a parlarne ti emozioni. Poterne far parte ti trasferisce un’energia pazzesca. Sai che stai rappresentando il tuo Paese, migliaia di bambini che avevano o hanno il tuo stesso sogno e che non riusciranno a realizzarlo. Tu sei con l’azzurro addosso anche per loro. Il mio primo ricordo di quella maglia sono i Mondiali del 2006. Avevo sei anni e credo sia, in assoluto e in generale, il primo momento della mia memoria".

Sulla vittoria degli Europei: "La presa di coscienza di dove ero arrivato, con tanta fatica e tanta passione. Alla prima convocazione, sono entrato in punta di piedi in un gruppo fantastico e abbiamo vinto. E poi, stando lì, ho capito che nulla è impossibile, ho capito che il lavoro, le giornate sotto la pioggia o il vento ad allenarsi, sono servite a raggiungere una vetta così alta. Un’emozione che vorrei rivivere presto".

Sul temperamento da vincitore: "Io spero di essere vissuto, anche dai miei compagni, come un leader silenzioso. Credo di portare positività, di riuscire a creare energia. A poco più di vent’anni i “senatori” del Sassuolo e il mister De Zerbi mi hanno dato la fascia da capitano. Forse perché unisco, non divido. Cerco di fare squadra, non navigo in solitaria".

Sugli aspetti del calcio moderno: "Gli aspetti mediatici, che possono portare a una instabilità in ragazzi come noi. Nel calcio si raggiunge tutto molto velocemente e se non si ha la fortuna di avere attorno persone che ti fanno rimanere collegato con la realtà, ti aiutano a non dimenticare da dove vieni, il rischio di perdersi è molto alto. Passi dal non essere riconosciuto ad avere fama e stare sui media, improvvisamente hai tanti soldi da spendere: se non gestito, tutto questo può portare dei ragazzi in situazioni di difficoltà".

Sull'impatto con il Napoli: "Sin da subito essere qui è stato un motivo di orgoglio. Mi avevano cercato Juve, Milan, Inter ma sono felice di giocare nel Napoli, anche per la storia dei calciatori, vorrei ricordare solo Maradona e Juliano, che hanno indossato questa maglia. Io sono ambizioso e sapevo che questo era il luogo giusto: dopo il magnifico tempo trascorso al Sassuolo, avevo bisogno di uscire dalla mia comfort zone, di lottare per uno scudetto e nelle coppe internazionali. All’inizio è stato strano, ma qui c’è energia, si vive la gioia di vivere e si percepisce una passione per il calcio che è febbre e amore vero, collettivo, quotidiano. Sono felice, qui".

Sullo scudetto: "Lo scudetto era nell’aria, quell’energia ci sospingeva. La città fibrillava, e noi con lei. E’ stata una vittoria della squadra, dell’allenatore, della società. Ma anche di tutta la città: si percepiva un desiderio comune, un’attesa vissuta in ogni casa che poi è diventata gioia collettiva".

Sulle difficoltà di quest'anno: "Non credo ci sia qualcosa di particolare. Penso sia fisiologico, dopo la vittoria dello scudetto. Non è un alibi, ma l’anno scorso è stato emotivamente dispendioso, non siamo abituati a vincere, non abbiamo sempre la cattiveria che discende da quella convinzione. Dobbiamo ritrovarla, ci stiamo lavorando. Siamo una grande squadra. Non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo mai".

Sull'allenatore più importante della carriera: "Sono stato fortunatissimo, ho trovato sempre allenatori di alto livello, anche dal punto di vista umano. Se devo dirne uno, non posso che ricordare Roberto De Zerbi. Lui mi ha fatto esordire in A e mi ha sempre dimostrato una fiducia incondizionata. A un certo punto si pensava fosse giusto che andassi in prestito in Serie B. Lui si oppose, mi ha sempre voluto al centro dei suoi progetti. Con De Zerbi mi sono reso conto delle mie possibilità. Se non avessi incontrato uno come lui, il mio destino forse sarebbe stato differente".

Sul modello a cui si è ispirato: "Aguero. Sia per caratteristiche fisiche che per modo di stare in campo. Poi Di Natale, Rooney, Tevez".

Su un giorno da calciatore da rivivere ed uno da cancellare: "Sono lo stesso giorno. Quello della mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali. Vorrei non tornasse per non rivivere quel dolore. E, al tempo stesso, vorrei che tornasse per poterlo cambiare. Non dimentico il silenzio terribile dello spogliatoio dopo la partita. Non aver dato a milioni di persone la gioia di godere dei Mondiali è stata una delusione devastante, che ci ha lasciato un senso di colpa. Si deve imparare, anche dalle sconfitte. Non si vince sempre, né nello sport né nella vita. Ma siamo un gruppo forte e coeso, con un grande c.t., ci rifaremo".

Sull'educazione del talento: "Va educato. Certo, ci deve essere una base, un’ispirazione. Ma io appartengo alla corrente filosofica, nel calcio, di chi pensa che il talento sia poco, se non è accompagnato dalla durezza del lavoro. La più grande fortuna di chi ha talento è di averne coscienza e, per questo, ha la disponibilità a lavorarci su, a disciplinarlo proprio per farlo emergere. Se hai un dono, devi sfruttarlo. Devi coltivarlo ogni giorno, magari pensando alla fatica di chi quel talento non ce l’ha".

Sul gol più bello della carriera: "Non ho dubbi: quello a San Siro con la Nazionale nella partita di Nations League contro l’Inghilterra. Anche perché allo stadio c’erano i miei genitori".

Sul figlio in arrivo: "A maggio diventerò papà. Siamo a metà strada. A Natale sapremo se è maschio o femmina. Io sono così di carattere. Senza esagerare ho sempre voluto avere le cose della mia vita sotto controllo. Questo è il passo più importante della vita della mia fidanzata e mia. Spero di essere all’altezza e di poter dare sempre un buon esempio alla creatura che verrà".

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