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Processo plusvalenze, la sentenza è una sconfitta per la Procura: gli errori di Chinè

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L'assoluzione di tutte le società coinvolte nel processo plusvalenze è una sconfitta per il procuratore federale Giuseppe Chinè

Domenico D'Ausilio

Scusate, abbiamo scherzato. Esordisce così l'edizione odierna di Repubblica sul processo plusvalenze. “Il Tribunale federale nazionale proscioglie i deferiti”: con queste parole, dopo 195 pagine di deferimento e più di un anno di lavoro, evapora l’inchiesta sulle plusvalenze. I giudici del primo grado sportivo hanno cancellato tutte le accuse contro Juventus e Napoli, Genoa e Samp, Empoli e Parma, Pisa, Pescara e Pro Vercelli, oltre a Chievo e Novara (non più affiliate).

Processo plusvalenze, sconfitta per il procuratore federale

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In attesa delle motivazioni, si può già dire che il giudizio ha certificato un assunto: che nessuno può stabilire il valore corretto di una transazione, se non le società che effettuano l’operazione. La sentenza è una sconfitta per il procuratore federale Giuseppe Chinè. Che aveva avuto il coraggio di sfidare quel sistema consolidato. Ma che si è infranto su un approccio almeno superficiale. Ha deciso di “inventare” di sana pianta un sistema di valutazione fondato su criteri che avrebbe voluto oggettivi.

Errore non aver ascoltato i giovani coinvolti

Il peccato originale dell’intera inchiesta è non aver condotto una vera indagine: le migliaia di pagine di atti sono in realtà una enorme scatola vuota. Il procuratore non ha ascoltato i calciatori coinvolti, nemmeno chi aveva rilasciato dichiarazioni pubbliche utili almeno a suscitare dei dubbi. Basta rileggere l’intervista del calciatore Luigi Liguori, uno dei giovani che il Napoli ha mandato al Lille nell’affare Osimhen, valutandolo 4 milioni, che ora gioca in campionati dilettantistici e che a questo giornale raccontò di non essere mai stato in Francia, dal club che lo aveva formalmente acquistato, rescindendo dopo un solo anno quel contratto.