Sul futuro: "Mi hanno cercato in molti, ma dopo 23 anni che alleno avrò anche il diritto di poter scegliere. Posso dire che alcune squadre mi hanno cercato, ma c'era anche il problema della guerra in quelle zone. In un posto dove mi volevano a tutti i costi poi è stata lanciata una bomba. Dopo 23 anni di carriera, ripeto, me lo posso permettere di scegliere anche se andare o meno in un posto più conscio".
Sul cercare sempre "scuse": "Quando le cose non vanno bene, mi assumo le responsabilità. Io penso a difendere i miei calciatori sempre, magari usavo delle scuse per non farli attaccare. Invece oggi vedo miei colleghi che attaccano i loro giocatori pubblicamente. A me non interessa fare bella figura, io avevo sempre da proteggere la mia squadra".
Sul gesto dell'orologio: "Il mio gesto è diventato iconico. Io volevo recuperare il tempo oppure volevo il fischio perché vincevo. Noi giocavamo bene e per far risultato contro di noi se ne inventavano di ogni. Questo gesto ora è immortalato al Maradona. Sarà diventato un "meme" e in questo senso possono anche farmi piacere".
Sul Napoli: "Che rapporto avevo con i calciatori? Maggio, Lavezzi e Cavani, giocatori con cui avevo uno splendido rapporto, se devono parlare di me a qualcuno lo fanno con il massimo della riconoscenza. Credo di essere stato l'unico a Napoli quattro anni con De Laurentiis. Sarri è stato tre anni ed anche gli altri che hanno vinto lo scudetto sono rimasti meno di me".
Su Lavezzi: "Difficile allenarlo? Quando all'inizio me lo dissero, c'era Quagliarella e non Cavani. Il Pocho non pensava alla fase difensiva e se ti difendi in uno in meno cambia tutto. A Lavezzi dissi di migliorare la condizione atletica, poi quando finisce l'azione dopo cinque-sei dribbling devi tornare e metterti davanti al terzino. Lo obbligavo a rientrare, glielo dovevo ricordare sempre e lui me lo chiedeva perché mi diceva che se lo dimenticava. Con lui ho avuto un grande rapporto, poi c'è l'aneddoto delle vacanze di Natale e dei ritorni dopo le soste. Noi dovevamo dare il programma per i giorni di permesso natalizi, sia per italiani che per i sudamericani. Io davo un giorno di differenza, un giorno i sudamericani vollero parlare con me perché avevo deciso di farli rientrare prima dell'ultimo dell'anno visto che il 6 gennaio si giocava contro la Roma. Allora Lavezzi mi fa «Mister, se non mi fa tornare il 2 gennaio diventa un problema». Io li guardo tutti e decido di metterli alla prova per vedere quanto fossero uomini, nonostante la società non fosse d'accordo. Li feci tornare il 2, a quattro giorni dalla gara con la Roma. Lavezzi salutandomi e dandomi la mano disse «Ti prometto che torniamo e ce li mangiamo». Morale della favola vincemmo con la Roma con una grande prestazione, davvero si mangiarono gli avversari. Nel post partita vengono nello spogliatoio e mi dicono «Hai visto mister?», lì ho capito che unione c'era in quel gruppo".
Su Cavani: "Basta guardare i dati tra il passaggio a Palermo e Napoli. Quando arrivò, tutti mi dicevano che aveva una forza incredibile, ma era frettoloso e sbagliava tanto sotto porta. Dopo l'allenamento mi fermavo con lui e gli dicevo sempre: 'Guarda la palla, rallenta e carica il tiro davanti al portiere". Se vedete Maradona, quando calcia, lui rallenta e guarda la palla perché già sa dov'è la porta. Da quando Cavani ha iniziato a fare così è diventato un bomber pazzesco, segnava da tutte le parti. Cavani l'ho voluto io perché, quando ero alla Sampdoria, affrontai il Palermo e lui riusciva a pressare tutti da solo. Mi rimase impresso, aveva una corsa pazzesca e si muoveva tanto. Segnava poco e non convinceva tutti. Dissi a Bigon di prenderlo e lo stesso dissi al presidente perché volevamo fare uno step in più dopo il sesto posto. Cavani arriva a Napoli perché l'ho voluto io, loro avevano pensato ad un altro che secondo me in Serie A avrebbe fatto al massimo il quarto attaccante".
Sul calciatore più carismatico: " Inler, dava l'esempio con poche parole. Ora infatti sta facendo il direttore sportivo ma ai nostri tempi era fondamentale".
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