Domenica scorsa al Maradona nelle curve hanno esposto il titolo di un'altra celebre canzone per caricare il Napoli: Anema e Core.
«Credo che non vi sia in nessun altro posto un rapporto tra la città e la squadra così forte, sanguigno, accorato. L'ho testato negli anni più duri, quelli della serie B e perfino della serie C: c'era questa unica realtà che ci legava, ci distraeva e faceva sorridere. E questo perché nella vita di tutti i giorni a noi napoletani vennero lasciati sempre le briciole. Dunque, i successi che il Napoli conquistava sul campo attraverso i suoi campioni, da Sivori e Maradona a quelli recenti, rappresentavano un riscatto sociale. Il Napoli è il nostro orgoglio, ecco perché c'è questa connessione con il territorio».
Lei è rimasto conquistato da Conte. Dal Festival di Sanremo, prima di una partita, gli lanciò un messaggio: «Antonio, miettece a mano tu».
«Mi piace molto. Vorrei conoscerlo e ringraziarlo non solo per i risultati ma anche per il suo forte senso del dovere e del lavoro. Non a caso, quando è arrivato a Napoli, ha lanciato lo slogan Amma fatica'. Leggo che ha un contratto per tre anni però mi auguro che resti per dieci e anche oltre: che sia ciò che Ferguson è stato per il Manchester United, allenatore a vita di un club. E questo non soltanto per le vittorie del Napoli».
E per cosa altro?
«Perché è leccese, dunque uomo del profondo Sud, e conosce bene i nostri problemi, le nostre aspirazioni, i nostri sogni. Sa cosa scorre nelle nostre vene, anche se il sangue è talvolta avvelenato da ciò che ci scaricano addosso. Lui ha cercato subito l'intesa con la città proprio perché sa quanto la passione popolare possa aiutare la squadra. Napoli è un serbatoio di vera energia, una risorsa da sfruttare. Posso fare un esempio?».
Prego.
«Un calciatore potrebbe essere stato male nella notte per una cattiva digestione ma andando in campo e avvertendo la spinta del tifo potrebbe avere perfino i sassi sullo stomaco: correrebbe sempre al massimo. Non mi sorprende che quasi per ogni partita ci sia il tutto esaurito allo stadio. Piace a me ea tutti l'attaccamento di Conte e del suo gruppo alla maglia, che è un simbolo per la tifoseria: perché, non è un modo di dire, i calciatori, anche forti, passano e invece resta quella maglia come bandiera».
A giornate un punto di distacco dal primo posto: parliamo del quarto scudetto?
«No, piedi per terra. Con la consapevolezza che è stata ormai raggiunta la Coppa dei Campioni, voglio chiamarla ancora così. E ne siamo felici. Può sembrare che il nostro calendario sia comodo rispetto a Inter e Atalanta ma niente c'è di comodo. Conte ha realizzato qualcosa di grande. Un anno fa tutti ci chiedevamo come fosse stato possibile passare dallo scudetto a una posizione di metà classifica. È arrivato lui e ha rimesso insieme i cocci. Straordinario».
Straordinari anche la canzone e il calcio a Napoli.
«Napoli è cultura, conoscenza, storia. Qui è sorta una delle prime università, qui si cantano ancora le canzoni del Seicento. Io non vivo più a Napoli ma avverto sempre più forte l'orgoglio di essere napoletano: torno qui presto in teatro, mi godrò la famiglia, dai fratelli ai pronipoti. Abbiamo visto vera arte calcistica allo stadio, tra giocatori del Napoli come Diego e Krol e avversari come Platini. Gente che non dava un calcio a un pallone, come canto io, ma usava anzitutto la testa. Mi annoio a vedere quasi tutto il calcio italiano oggi, c'è stata una caduta di stile. Poi vedo la Premier League...».
E il Napoli di Conte quali sensazioni trasmette?
«Emozione pura. Quest'uomo è entrato sempre più nel cuore della città come nei muscoli e nella testa della squadra. I calciatori hanno capito che lui è il maestro, come a scuola: va rispettato e seguito per imparare».
Il calciatore preferito?
«Sono anguissiano, tifo per questo ragazzo che non tocca il terreno di gioco: Anguissa sta sempre un centimetro più su e fa numeri straordinari».
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