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Ferlaino: “Non vado più allo stadio per il Napoli. Maradona uno di famiglia, Gattuso da riconfermare”

Corrado Ferlaino e Diego Armando Maradona (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Novanta. Come i minuti di una partita. Come gli anni che Corrado Ferlaino compie tra due giorni, l’ex presidente del Napoli ha rilasciato un’intervista ai microfoni de Il Mattino. “Festeggerò con la famiglia e idealmente con...

Domenico D'Ausilio

Novanta. Come i minuti di una partita. Come gli anni che Corrado Ferlaino compie tra due giorni, l'ex presidente del Napoli ha rilasciato un'intervista ai microfoni de Il Mattino. "Festeggerò con la famiglia e idealmente con tutti i napoletani: li ho sentiti sempre molto vicini".

Ferlaino e il rapporto con Napoli

 Corrado Ferlaino (Photo by Paolo Bruno/Getty Images)

"Parlo di me e del mio rapporto con il Napoli e la gente. Ho vissuto momenti difficili: più volte, in 33 anni di proprietà, sono arrivati a mettermi le bombe sotto casa. Ma io ricordo i periodi felici. Ero ricco e spensierato prima di entrare nel Napoli, gennaio del 69. Quando ho chiuso, non avevo più niente. E questo la gente lo ha capito, probabilmente apprezzando anche che non avevo mai messo familiari in consiglio, nessun compenso".

Sulla sua presidenza

"A mia insaputa l'amico Verga mi inserì in una cordata di venti soci. Venti, capite? E venti che non volevano tirare fuori una lira ma pretendevano di comandare. Ero giovane, ricco, con aereo privato e yacht. Ma chi me lo faceva fare? Alla fine, però, feci un'offerta per tutto il Napoli e cominciò la storia. Capii molto presto cos'era il calcio. In una partita a San Siro contro l'Inter nel 71: è passato mezzo secolo ma sembra ancora attuale. Eravamo in vantaggio grazie al gol di Altafini e nell'intervallo Mazzola alzò la voce con l'arbitro Gonella. Vinse l'Inter. E per me fu una lezione perché compresi che per vincere servivano campioni e rapporti forti. E mi misi al lavoro. Creai le relazioni con Federcalcio e Lega. Acquistai Savoldi, feci un tentativo per Rossi. E poi Maradona, con il fondamentale aiuto di Juliano e Celentano".

Sullo scudetto 1988

"Mi chiedo ancora come mai perdemmo quello dell'88. Per amor di Dio, i calciatori erano onestissimi, però Napoli era la centrale del totonero. La squadra crollò e vinse il Milan. Da allora misi dei premi altissimi e già molto elevati erano gli stipendi dei calciatori. Affrontavo battaglie impari contro le multinazionali ma con grandissimo orgoglio napoletano".

No al Napoli al San Paolo

"Vado a vedere la Nazionale, ho la tessera d'onore. Il Napoli no, perché la mia presenza rischiava di essere indigesta: ricordo bene quando andavano male le cose e i tifosi acclamavano i miei predecessori".

Su Maradona

"Gli ho sempre dedicato un pensiero, considerandolo uno di famiglia. Un napoletano innamorato di Napoli. La sua scomparsa è stata dolorosa, ancor di più adesso che emerge il terribile sospetto che sia stato truffato".

Su Fiorentina-Napoli e lo scudetto 1990

"Neanche quella domenica pensavo che potessimo farcela... Fu diverso per il secondo, organizzammo anche la festa su una nave per i giocatori affinché potessero ammirare la meravigliosa notte napoletana. Ancora si arrabbiano l'allenatore e i giocatori del Milan e io ancora faccio salti di gioia. Dissi che Alemao, colpito da una moneta a Bergamo, non mi aveva riconosciuto in ospedale. L'unica bugia della mia vita. Ma Parigi valeva bene una messa, altroché".

Su Gattuso

"Se proprio devo rispondere, dico che deve essere riconfermato. E aggiungo che in questo campionato sono state perse partite assurde: non vi possono essere crisi nei rapporti con un allenatore. Nell'88 difesi Bianchi sfiduciato dalla squadra: quattro calciatori andarono via, lui rimase in panchina"