Cosa è successo dopo la vittoria dello scudetto?
«La partita col Cagliari ha decretato il titolo è di venerdì 23. Sabato e domenica siamo andati a Ischia con Conte e la sua famiglia a festeggiare il mio 76esimo compleanno. Lunedì 26 c’è stata la meravigliosa parata sul lungomare che in un’ora e mezza ha raccolto oltre 70 milioni di spettatori in tutto il mondo su Rai Italia, il bouquet di canali internazionali. La sera c’è stata la festa di tutto il Napoli e il giorno dopo siamo andati dal Papa per la prima udienza ufficiale del suo pontificato. Subito dopo ci siamo chiusi in una stanza io, lui, Chiavelli e Manna e abbiamo iniziato a gettare le basi per la nuova stagione. Senza bisogno di dire nient’altro».
La scorsa stagione con Conte ci sono state anche frizioni. Per esempio a gennaio, quando ha venduto Kvaratskhelia senza sostituirlo.
«Nessuna frizione. Dovevo farlo. Nessuno poteva sostituire Kvara alla pari, ma ci abbiamo provato: il Psv per esempio non ci ha dato Noa Lang, per fortuna in estate si è convinto. Del resto se quello di gennaio viene chiamato mercato di riparazione, uno del livello di Kvara a metà stagione non te lo vendono. Det-to questo, ero consapevole che Conte, concentrato sulla lotta per arrivare più in alto possibile, avrebbe faticato ad accettare l'operazione. Diciamo che ho scommesso sulla sua capacità di vincere ugualmente, ed è stata una buona puntata».
Perché ha dovuto vendere Kvara a gennaio?
«Perché il suo procuratore minacciava di ricorrere all'articolo 17 del regola mento Fifa. La storia va spiegata. Dopo la prima, formidabile stagione del ge-orgiano ci siamo preoccupati subito di negoziare un rinnovo contrattuale, mi-gliorando il suo stipendio e arrivando a offrirgli una cifra molto importante, perché era ovvio che il compenso li-mitato avrebbe attirato mezzo mondo pronto a fargli ponti d'oro. Ma il suo procuratore, Mamuka Jugeli, aveva altri progetti per sé e per il calciatore. Vo leva strappare a un altro club un'altis-sima commissione per lui, oltre a uno stipendio a doppia cifra per Kvara. Alla fine del secondo anno contrattuale c'è stato l'Europeo in Germania. Manna, Chiavelli ed io siamo volati a Düsseldorf per risolvere la questione, ma Mamuka ha continuato a prendere tempo soste nendo che Giuntoli gli avesse promesso dei soldi che non erano stati corrispo sti. Bugia, non è stato difficile appurar lo. Avrei dovuto venderlo allora, il Psg aveva offerto più di 200 milioni per il pacchetto Kvara Osimhen. Ma avevo promesso a Conte di trattenerlo e non me la sono sentita».
Come avrebbe utilizzato tutti quei soldi?
«L'idea era quella di prendere Gyokeres».
Che cosa dice l'articolo 17 per rendere così pressante la cessione?
«È un articolo che permette a un gioca-tore di uscire dal suo contratto dopo tre anni pagando un indennizzo misurato sul suo compenso e sui soldi spesi per il cartellino. Essendo due cifre basse, l'indennizzo sarebbe stato irrisorio ri-spetto al valore del giocatore. In prati-ca, quest'estate l'avremmo perso quasi gratis».
E con Osimhen com'è andata?
«L'abbiamo venduto al Galatasaray per 75 milioni più bonus. E con reciproca soddisfazione».
L'acquisto del Napoli
«Un giorno dovrò scrivere il libro di come avvenne quell'acquisizione ma per sommi capi gliela riassumo perché fu davvero un'avventura. Avevo già provato a prendere il Napoli, nel 1999, convocando i media e mostrando loro un assegno circolare da 120 miliardi di lire spezzato in due parti: la prima era a disposizione di Ferlaino, per la seconda volevo effettuare una due diligence. La sua risposta fu una causa per aver creato, secondo lui, una distrazione della campagna abbonamenti, causa che peraltro vinsi facilmente. Ricordo che Gazzoni mi offri il Bologna per 50 miliardi, ma risposi che io tifavo per il Napoli e quindi mi interessava solo il Napoli».
Cinque anni dopo, il fallimento del club le forni l'occasione.
«Avevamo appena finito di girare a Los Angeles Sky Captain and the Wor-ld of Tomorrow, una mega produzione con Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow e Jude Law. Era agosto, do loro appunta mento per settembre per organizzare il tour mondiale di promozione del film. Prima c'erano le mie settimane sacre a Capri. Deve sapere che al Quisisana c'è un bellissimo teatro che diventava il mio ufficio, dove esaminavo in santa pace tutte le sceneggiature dei film da realizzare. Sul tavolo da lavoro erano sparsi i quotidiani, all'improvviso mi cade l'occhio sul Corriere dello Sport dove c'è una grande foto di Gaucci con il titolo Compro il Napoli per 5 milioni. Ma come Gaucci compra il Napoli, no, lo compro io».
Continua
«All'epoca mica sapevo che era stato il direttore generale del Napoli ai tempi di Maradona. Io ero completamente di-giuno di calcio. Si, da bambino con papà tifa-vamo Napoli, ma non avevo seguito tutte le sue avventure. E disavventure. Avevo chiesto in giro quali fossero i due club che overperformavano rispetto al loro bacino di mercato: mi dissero l'Udinese e il Chievo, cercai di ingaggiare i loro dirigenti, dovevano essere bravi. Sartori del Chievo mi disse che era impegnato, ma secondo me non sarebbe sceso in serie C neanche dipinto. Marino invece ci raggiunse a Gstaad, dove stavamo girando Christmas in Love. Andammo a cena e parlammo fino alle 5 del mattino. Mi pare ci fosse anche Danny De Vito, si, che aveva una parte nel film. Restava da ottenere il si del giudice fallimentare, mi presentai all'udienza con una squadra di avvocati che parevano gli Avengers, e il giudice col suo eloquio lentissimo racconto che la figlia s'era appena laureata con una tesi sulla gestione dei club calcistici, e sic come lui l'aveva letta sapeva quanto fosse difficile tenere i conti iin ordine. Mezz'ora di questa menata, non sapevamo più dove guardare, ma alla fine mi diede il Napoli».
Sono passati 21 anni da quei giorni. Se gli Anni 10 hanno visto l'incontestabile primato della Juventus, il Napoli e l'Inter si contendono il ruolo di squadra guida degli Anni 20, e voi con due scudetti nelle ultime tre stagioni ma soprattutto con una salute economica che nessun altro possiede a questi livelli siete avanti a tutti. Lei è stato spesso un dirigente di opposizione polemico ed estremo. Ora che in un certo senso è al governo, cosa cambia?
«Lei dice polemico, io rispondo visionario. Mi permetta di ricordare la mia gavetta nel mondo del cinema, perché molti pensano che il cognome che porto mi abbia spalancato subito tutte le porte. Papà e zio mi fecero iniziare come aiuto segretario di produzione, 32mila lire alla settimana, il cinema vi-sto dal basso. Poi sono passato dall'uf-ficio legale, e soltanto dopo anni sono stato ammesso alla stanza degli sce neggiatori. Dove stavo zitto, e impa ravo da Age e Scarpelli. E dal grande Sergio Amidei. Andavamo al cinema, lui aveva il vizio di parlare ad alta voce, io mi preoccupavo, "guarda che ades so ci menano". Che tempi. Alla fine di questo percorso avrò avuto 34 anni mi sentii abbastanza maturo per pronunciare la frase fatidica: adesso si fa come dico io. Ed è andata piuttosto bene».
Nel calcio non si può. Non ne è l'unico proprietario.
«Beh, io direi invece che si può, visti i risultati che ho ottenuto. Il confron to è con gli altri proprietari, ma se mi permette il gioco di parole, vorrei ap punto confrontarmi con loro. Invece quando vado alle assemblee di Lega trovo amministratori, direttori, segre tari, ma proprietari pochi. Il mio non è snobismo: senza i proprietari non si cambierà mai niente, e infatti la Lega Calcio non funziona, è un organismo imbelle. I dirigenti dei club guadagna no uno, due, tre milioni all'anno, chi glielo fa fare di proporre cambiamenti allo status quo? Sono i proprietari a doversi muovere, prendendosi il giusto rischio d'impresa».
Lei vede i fondi come il fumo negli occhi, vero?
«Quando c'è stato da bloccare l'ingresso dei fondi nella serie A, ci siamo trova-ti a combattere fianco a fianco Andrea Agnelli e io, e abbiamo vinto. Da im-prenditori. Un vero imprenditore non ha bisogno dei fondi».
In molti invece pensano che i fondi avrebbero razionalizzato la gestione della serie A.
«Il compito dei fondi è garantire ai loro investitori un rendimento il più possibile valido e sicuro, ma non sulla pelle delle società, senza possedere la ricetta per sviluppare il fatturato totale del calcio. Il sistema è malato in tutta Europa, per curare i tanti debiti sono necessarie riforme rivoluzionarie e rapide. Si giocano sempre più partite, che necessitano di sempre più giocatori che portano a sempre maggiori spese to auspico invece una serie A che dimagrisca a 16 squadre, come nel 1986, e che eviti che i calciatori stessi, patrimonio delle società, si usurino bruciando il loro valore. Un torneo a 16 squadre eviterebbe anche quei match con poche migliaia di spettatori in tv che indeboliscono la credibilità commerciale del nostro calcio. Molti sostengono che cosi incasserem mo di meno, ma non è vero, perché au menterebbe il valore delle altre partite. E poi è maturo il tempo perché Giorgia Meloni tolga il tetto pubblicitario alla Rai per finanziare con gli introiti della pubblicità tutta la serie A che andrebbe in chiaro, dividendo il campionato fra Rai e Mediaset. Gli italiani sarebbero felicissimi di poter vedere tutte le partite gratuitamente e lo share andrebbe alle stelle».
Per onestà intellettuale devo precisare il mio conflitto d'interessi: oltre che per il Corriere, lavoro per Sky Sport. Detto questo, le ricordo che esiste un precedente di campionato in chiaro, in Argentina, con il governo di Cristina Kirchner. Un classico esempio di panem et circenses che ando in onda dal 2009 al 2017 e naufragò tra accuse di propaganda politica, corruzione e distrazione di fondi.
«Beh, I'Italia non è l'Argentina, che tutti conosciamo come un Paese in cui "fare economia è impossibile. In ogni caso bisogna fare qualcosa per affrontare la concorrenza delle grandi competizioni internazionali: lei sa bene che i denari destinati dalle televisioni e dalle piat-taforme ai tornei organizzati da Fifa e Uefa sottraggono risorse ai campionati nazionali. Quindi le soluzioni sono due: o andare in chiaro, dando ai club i ri-cavi della pubblicità, o puntare sui tifo si attraverso la pay per view, in modo tale che oltre a vendere i biglietti per lo stadio reale, si possano vendere anche quelli per lo stadio virtuale. Ma non mi faccio troppe illusioni sulla possibilità che i politici obblighino Rai e Mediaset a teletrasmettere le partite di serie A. Ignorano un dato importante: il calcio potrebbe portare nelle urne il voto di 30 milioni di tifosi. Alla fine, superf cialmente, per i politici i proprietari dei club calcistici restano i ricchi scemi di cui parlava Giulio Onesti»
Mentre il Comune pensa alla ristrutturazione del "Maradona", lei ha presentato il progetto di uno stadio nuovo. La conferenza dei servizi è in calendario il 4 settembre.
"Pronto in quattro anni, in tempo per gli Europei quindi, 65-70 mila posti, parcheggi per gooo auto, zona Est della città. Però la legge sugli stadi dev'essere integrata da un tavolo in cui siano pre-senti tutti gli attori, e parlo delle soprintendenze che ne trovano sempre una, e della Corte dei Conti. Non ci si alza da quel tavolo finché non si è tutti d'accor-do, ma poi si procede. Con i vari com missari non credo che si arrivi a nulla di concreto in brevissimo tempo».
Abbiamo nominato Maradona. Quanto le sarebbe piaciuto averlo fra i suoi giocatori?
«Ma io l'ho avuto. Ha recitato in Tifosi, nel 1999. All'epoca non lo conoscevo, chiesi il contatto a Gianni Minà, lo chia mái a Buenos Aires e lui a bruciapelo "mi dai 500 milioni per tre giorni di la voro?". Deglutii, dissi che andava bene, e lui "allora la prendo in considerazione, ti faccio sapere". Due giorni dopo mi chiama, è a Fiumicino con la moglie, io prendo per loro la suite all'ultimo piano dell'hotel d'Inghilterra, panoramica pazzesca sui tetti di Roma. Stiamo li tutta la notte a chiacchierare, del film e della vita, a un certo punto Claudia gli dice "ma ti rendi conto di quanti soldi guadagneresti se nascessi oggi?". Gli ingaggi dei calciatori, in effetti, si erano decuplicati rispetto a quando giocava lui. La risposta di Diego fu stupenda, me la ricordo ancora. "Se nascessi oggi, non avremmo le due figlie meravigliose che ci riempiono l'esistenza". La sua grandezza interiore era pari alla capacità calcistica».
Qual è in tutti questi anni il campione al quale si sente più legato?
«Hamsik è stato la stella polare del Napoli. Un giorno è venuto a dirmi che voleva cambiare squadra, voleva la Cina. Marek però me lo chiese… non so come spiegarlo… da napoletano, ecco. Dovrebbe vedere la scuola calcio che ha aperto in Slovacchia. Ha portato Napoli a casa sua. Dei miei giocatori è quello al quale sono rimasto più affezionato».
De Laurentiis, che presidente è oggi rispetto a 21 anni fa?
«Passata la boa dei vent'anni di presidenza mi sono convinto di una cosa: le grandi imprese sono possibili se i pro tagonisti, e pario di allenatori e giocatori ma anche di me stesso, sviluppano un'empatia profonda con la città. Ecco, misuriamolo su di me. Io ormai mi sento scomodo a Roma, mi sento comodo a Los Angeles, mi sento comodissimo a Napoli. New York e Parigi mi dicono poco, invece amo stare a Londra. lo pen so che l'anima sia immortale, da cui il discorso dei déjà vu e del sentirsi a casa anche in luoghi dove non si è nati».
La sua specialità
«Lo sa qual è la mia vera specialità? Quella dove sono inarrivabile? Il pernacchio. Un vero artista. Da bambino vidi L'oro di Napoli, rimasi affascinato dal famoso pernacchio di Eduardo, e mi esercitai fino a replicarlo. Il migliore, quello perfetto, mi riuscì a 15 anni in classe, al presti gioso Istituto De Merode di piazza di Spagna».
La cacciarono?
«Non ne ebbero il tempo. Arrivò mio padre, mi spinse fuori lui a sherle. Da quel giorno, scuola pubblica. E non ho rimpianti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA



/www.calcionapoli1926.it/assets/uploads/202512/5c56087f4239977589c3343b3205fa19.png)