Lei è laureato in Economia aziendale: è affascinato dal modello Napoli?
«L'avere una proprietà italiana non è solo un segno distintivo, ormai, ma è anche un elemento di ulteriore forza al progetto».
Perché ha deciso di andare all'Università?
«Mi sono diplomato al liceo pubblico, tra enormi fatiche perché già giocavo a tempo pieno. Peraltro, pure con un bel voto alla maturità, 86. Allora mi sono preso un anno sabbatico ma in quei mesi di pomeriggi liberi, quando ero a Carpi, mi sembrava di buttare via il mio tempo per giocare alla Playstation. E allora è scattata la molla: anche perché ho notato che grazie allo studio, ai libri, migliorava il mio rendimento e apprendimento sul campo e fuori. Capivo più facilmente le richieste degli allenatori, anticipavo le cose. Ho notato, insomma, che con lo studio riuscivo a essere persino migliore come calciatore. E infatti ogni volta che vengono da me quelli più piccoli a farsi firmare gli autografi gli dico spesso "mi raccomando, divertiti con il calcio ma devi sempre andare bene a scuola. E impegnarti"».
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