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Zaccone sulla sentenza Acerbi: “Vorrei dire ciò che disse De Crescenzo a Bossi!”

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Il duro commento del noto scrittore
Giovanni Montuori

Maurizio Zaccone, noto scrittore, ha scritto un lungo pensiero sui social in cui ha duramente attaccato la sentenza Acerbi utilizzando anche delle pungenti metafore:

"Un bicchiere di quello buono, rosso, e un mezzo chilo di quei taralli piccoli, cotti al forno. Così finisce sempre da queste parti: a tarallucci e vino. Perché nella Repubblica delle banane, quella specializzata nelle involuzioni, nel chiudere gli occhi, nel voltarsi dall'altra parte, i "finali" sono la parte più bella. Pensavamo di aver visto tutto con lo show del patteggiamento bianconero, che nemmeno un'accusa di omicidio derubricata a una multa per divieto di sosta sarebbe bastata a rendere l'idea. Ora arriva la sentenza Acerbi/Juan Jesus. E il giudice si mostra assai clemente: con Juan Jesus. E decide di non punirlo per essersi permesso di non farsi insultare docilmente. L'insulto razzista l'ha sentito solo lui, e quindi non basta. Tutti sordi e ciechi attorno; le telecamere non hanno inquadrato, i microtoni non hanno ascoltato ed Acerbi ha, italianamente, negato. frase dopo aver ascoltato il dietrofront di Acerbi: "il razzismo si combatte qui ed ora". Bella, ma non funziona in Italia. Dove il razzismo non si combatte né in questo posto né in questo momento.


Avevi offerto una bella opportunità a tutti di recuperare un po di quegli anni persi a tornare indietro; un calcio di rigore per lo sport. Ma hanno mandato a tirarlo a Lautaro, che l'ha messa alta, parecchio alta. Diciamo che Acerbi è stato anche ingenuo: l'avesse chiamato terrone sarebbe stato tutto a posto, nel paese che ha depennato dal codice di giustizia sportivo la discriminazione territoriale come evento di matrice razzista. Lui però è voluto essere più profondo: "ne"ro" E' riuscito a infastidire anche i più tolleranti, perche certe espressioni ce le devi avere proprio dentro per tartele uscire fuori. Ma il top di gamma non è stato l'insulto, ma la ritrattazi-one; il gioco di parole offerto alla Procura: non ha detto "sei solo un ne*ro" , ma "ti faccio nero". Ora, in un mondo dove c'è chi crede alla terra piatta, all'esame limpido di Suarez, a Salvini come statista e a Vannacci come un intellettuale magari qualcuno che abbocca c'è pure; ma siamo nell'ordine del numero degli elettori di Calenda e Renzi.

E quindi? Quindi niente, Acerbi, per il mio parere, si è squaliticato a vita da solo non nel momento in cui ha profferito l'insulto razzista, ma quando l'ha ritrattato con la versione calibrata in rima per arrivare alla sentenza di oggi. Che puntualmente è arrivata, senza deludere alcuna aspettativa. Restano tutti lì, sull'albero. A bearsi dell'ennesima occasione persa, della simulazione riuscita, del fatto che per cambiare c'è ancora tempo, non è un problema di oggi. A Juan Jesus serva come consolazione che indossa una maglia azzurra, nella città più antirazzista che ci sia (cit. Kalidou Kouli-baly), che con le discriminazioni ci palleggia come faceva Diego con la palla. A Francesco Acerbi, da Vizzolo Predabissi, ridente cittadina lombarda alla periteria di Milano, ed anche alla moglie Claudia Scarpari da Suzzara (Pianura Padana) che ha appena commentato con un "e adesso sciacquatevi la bocca", vorrei dire quello che disse De Crescenzo a Bossi: “Sono tante le differenze tra noi. Quando i vostri antenati celtici erano ancora barbari aggrappati al rami, i nostri antenati erano già froci"

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