Napoli, Lazio, Bayern Monaco, Chelsea e Manchester United: questa stagione sta rimettendo i direttori sportivi di polso ed esperienza al centro del villaggio?
“Me lo auguro, anche perché i risultati parlano chiaro. La cosa che spesso alcuni non contestualizzano è che un dirigente debba fare da cuscinetto tra agenti, calciatori, allenatore e presidenti. Ci sono tante dinamiche. A volte si pensa che da bravi scout si possa diventare un buon direttore sportivo. Non è così. Se c’è un allenatore fortissimo di testa e gestione, magari si può pensare anche di gestire qualche stagione. Ma il direttore sportivo è una figura troppo importante. È importante anche che si rispetti un direttore sportivo. Ci sono direttori sportivi che sono lì soltanto perché la norma Uefa lo obbliga, con i presidenti che finiscono per occupare materialmente quel ruolo. È un ruolo democratico, che possono fare tutti, ma che deve approcciare co dinamiche che non si possono spiegare. Se in uno spogliatoio non ci sei mai stato, non saprai mai come interagire con un calciatore. Spero e mi auguro che la categoria si impossessi nuovamente di quel ruolo che ha portato ai vertici il nostro calcio. Ci sono tanti aspetti dove gli americani sono avanti a noi, ma che vengano ad insegnarci calcio non lo accetto”.
Ha avuto modo di conoscere personalmente Aurelio De Laurentiis?
“Ci siamo conosciuti tantissimi anni fa, pariamo del 2010 quando ero vicino agli azzurri, prima di approdare al Torino. C’era anche Chiavelli, avevano scelto Mazzarri come allenatore ma poco dopo sarebbe arrivato Bigon. Fu un buon incontro, mi vennero chieste delle cose ma non ero d’accordo con alcune situazioni. Poi, abbiamo avuto qualche telefonata nell’affare Maksimovic. Mi sono sentito con il presidente. Mettere d’accordo Cairo e De Laurentiis era un’impresa biblica. Uno scontro tra titani”.
Cosa non funzionò all’epoca?
“C’erano delle situazioni per cui avrei dovuto aspettare delle cose... Il presidente colse qualcosa in me e si sentiva in una situazione in cui aveva preso già una mezza decisione, con l’intento di far coincidere le due figure. Io gli dissi che non me la sentivo”.
Conoscendo il presidente, andreste d’accordo?
“Stando fermo, mi sono reso conto anche di diverse cose. Non ci sono presidenti facili in Italia. Devi sempre cercare di andare d’accordo. Siccome mi reputo una persona schietta, ti dico sempre come la penso e come la farei. Poi, il presidente è colui che mette i soldi e che deve decidere, ma se non sono d’accordo ti dico ‘fallo, ma per me è una grandissima cazzata’”.
Quale allenatore suggerirebbe al Napoli?
“Credo che il Napoli debba ripartire nella maniera giuste, con delle idee chiare. Il Napoli ha bisogno di un allenatore con delle codifiche tattiche, sapere con precisione quel che vuole fare in base ai propri calciatori. Difatti, è difficile pensare ad un allenatore con la difesa a tre, servirebbe una rivoluzione. Sono questi i principi a cui deve badare un direttore sportivo. Oppure, si potrebbe pensare che un ciclo sia finito e che si debba fare una rivoluzione. Forse, partirei da questo tipo di impostazione, in modo da garantire brio ed entusiasmo, anche partendo da un calcio diverso, non per forza ancorato al 4-3-3. Il Napoli potrebbe ripartire anche da un vestito diverso”.
Ci sono possibilità che lei venga al Napoli come ds e Conte come allenatore?
“Conte credo cammini con le sue gambe. Certo, significherebbe trovare due persone che sono amici dal 1981, che parlano la stessa lingua nel calcio e che, magari, potrebbero fare qualcosa di importante. Siamo due caratteri spigolosi e stare insieme non sarebbe semplice. C’è stima reciproca, ma non so se accadrà mai questa cosa".
Gasperini?
"È un allenatore di spessore, che ha sempre tirato fuori il meglio dai suoi calciatori. L’Atalanta è una squadra che, pur cambiando i giocatori, continua a correre. Il Gasp è una certezza. Da uomo del sud, posso dire di essere stato felicissimo per lo scudetto del Napoli. Vincere al sud, vincere al Napoli, vale cinque campionati di una squadra del nord”.
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