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Paradotto: “Caso Acerbi inaccettabile, va fatto un lavoro sui giovani calciatori”

Il pubblico del Maradona dice no al razzismo prima di Napoli-Atalanta
Le parole del coordinatore Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali
Giovanni Montuori

Mattia Peradotto, coordinatore UNAR - Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, è intervenuto ai microfoni di Numero Diez per parlato del tema razzismo in Italia e del caso Juan Jesus.

In generale, l'Italia a che punto si trova nella lotta alle discriminazioni razziali?

“Il Paese ha un quadro normativo antidiscriminatorio, sul tema nello specifico delle discriminazioni razziali, solido. In primis, chiaramente, che deriva dall'impianto costituzionale e poi dal recepimento di alcune specifiche direttive europee. Da tutti gli studi che vengono svolti, e anche nell'ambito sportivo, si può riscontrare la persistenza di un elemento di discriminazione soprattutto per il background etnico di provenienza e quindi soprattutto ancora per il colore della pelle. Negli ultimi anni si sono messe in campo molte attività, secondo me effettive e anche efficaci in alcuni casi, per sensibilizzare su questo tipo di elemento. La prova del clamore mediatico che solleva nei casi di discriminazione a livello di professionismo, di Lega Serie A e quindi quello che è successo nei casi più recenti come Maignan e a Acerbi, dimostrano che c'è una diversa sensibilità complessiva sul tema. Casi che magari nel passato sarebbero passati più in sordina, oggi invece diventano dei casi che impongono una riflessione anche a quel mondo”.


Il calcio italiano è stato recentemente scosso dall'episodio Acerbi-Juan Jesus. Qual è la sua idea riguardo questo caso?

“Quando parliamo di giustizia c'è sempre un elemento che alla fine, che sia giustizia sportiva o giustizia ordinaria, esula dall'opinione che ognuno di noi può essersi fatto sul caso e va nell'ottica di dover riscontrare dei fatti o delle prove che, nel caso Juan Jesus-Acerbi, non sono state riscontrate nei fermi immagini, nelle registrazioni, nelle telecamere delle prove certe. Per cui, è un lavoro complicato. Lega, FIGC, ma anche la giustizia sportiva, hanno indicato negli ultimi giorni la volontà di rafforzare ulteriormente questa attività di attenzione anche alla raccolta delle prove o dei fatti su casi simili. Penso che comunque il Napoli abbia fatto bene a stringersi attorno al suo giocatore e a sollevare un caso, perché se ne discutesse. C'è ancora del lavoro da fare attorno a questi casi e nessuno di noi vorrebbe che succedessero, ma il clamore anche sollevato da questi casi sicuramente ci restituisce il tema di prima: c'è un'attenzione molto più forte oggi. Se è successo qualcosa come dice Juan Jesus, e su cui non ho nessuna motivazione per cui dubitarne, è francamente inaccettabile. Deve essere uno spunto per fare un lavoro sostanziale anche nei club di formazione dei giocatori e di tutto il mondo che attorno ai club si muove, cosa che molti stanno effettivamente facendo in maniera importante”.

La Lega Serie A da anni si sta facendo promotrice di campagne antirazzismo ma, nonostante ciò, continuano ad esserci casi di discriminazione. Cosa non sta funzionando?

"Nel tifo e nell'ambito stadio si mischiano sicuramente dei piani differenti. Non solo il piano che non può avere cittadinanza lì dell’offesa e della discriminazione, ma anche dei piani di appartenenza, di comunità che viene ristretta alla propria squadra, alla squadra che si tifa e di forte agonismo. Sono dei piani che ovviamente si compenetrano. Quello che bisogna riuscire a fare con uno sforzo di sensibilizzazione educativa in primis è far capire che non ci può essere spazio per questo tipo di comportamenti che traguardano l'agonismo, diventano discriminazione e offesa personale e colpiscono le persone negli stadi, come non ci possono essere da nessun'altra parte delle nostre comunità e città”.

Quali contromisure state prendendo voi in qualità di UNAR?

“Noi insieme a Lega Serie A da anni ormai promuoviamo la campagna ‘Keep Racism Out’. Un lavoro fatto anche con le giovanili e con tutto il movimento sportivo che è promosso dal Comitato Sportivo Italiano, dal CSI, sulla Junior Tim Cup. Quindi, la sensibilizzazione anche delle nuove generazioni è un elemento molto importante. Dall'altra parte si stanno finalizzando le misure del ‘Piano D'azione Nazionale di contrasto al Razzismo, alla Xenofobia e all'intolleranza’ nel quadro del più ampio piano europeo. All'interno di questo ci sono sicuramente previste delle misure che vanno ad impattare anche sul mondo dello sport in generale e sul mondo del calcio. Come dicevo prima, principalmente misure educative, perché sono il vero elemento che può permetterci di prevenire questo tipo di discriminazione e di episodi”.

Secondo lei bisognerebbe intervenire dal punto di vista legislativo per ridurre i casi di discriminazione nel calcio?

“C'è una discussione anche più ampia del suo livello italiano sul rafforzamento di alcuni elementi di normativa non discriminatoria. Questo sicuramente da un lato aiuterebbe, dall'altro il tema fondamentale è che già oggi ci sono strumenti per punire la discriminazione quando si manifesta in maniera così palese, sia dal lato della giustizia sportiva che da quello della giustizia ordinaria. Il tema, semmai, è rafforzare gli strumenti di raccolta delle evidenze per supportare il percorso della giustizia sportiva ordinaria, ma soprattutto fare un grande intervento educativo e di sensibilizzazione culturale. Da un lato bisogna sanzionare quando c'è la possibilità, ma dall'altro bisogna costruire un clima che tenga al di fuori questo tipo di ragionamenti”.

Ha avuto modo di incontrare le autorità di competenza, come il Ministro dello Sport o il Presidente della Lega Serie A, per parlare della questione? Se sì, come avreste intenzione di procedere?

“Siamo l'ufficio nazionale che si occupa della tematica della non-discriminazione, soprattutto per background etnico di provenienza e quindi soprattutto di contrasto al razzismo. Abbiamo interlocuzioni molto strette sia con Lega Serie A, con cui abbiamo un protocollo in essere, e le attività che si fanno sulle campagne sono proprio relative a quel protocollo, quindi vanno nell'ottica di costruire una cultura diffusa anche all'interno delle squadre e all'interno del mondo che frequenta gli stadi. Dall'altra parte, anche con il Dipartimento Sport che afferisce al Ministro per lo Sport, abbiamo varie attività comuni in essere, sia con il Consiglio d'Europa che con altri enti internazionali proprio sulla non-discriminazione in termini di sensibilizzazione. Metteremo sicuramente in campo anche delle azioni aggiuntive, soprattutto in ottica di formazione ed educazione, soprattutto per i settori giovanili e per lo sport di base, sport per tutti e settori giovanili. Oltre al fatto che UNARha un osservatorio nazionale sulla discriminazione nel mondo dello sport, che è un unicum a livello europeo e che nei prossimi mesi tornerà ad essere molto più attivo su questi temi”.

Oltre agli episodi ben noti della Serie A, per quanto riguarda il calcio estero abbiamo assistito alle lacrime di Vinicius in conferenza stampa parlando del razzismo in Spagna. Allo stato attuale, potremmo dire che la situazione nel resto d'Europa è la medesima di quella italiana?

“Abbiamo visto che è un problema che traguarda i confini solo dell'Italia: Spagna da un lato, ma anche casi in Inghilterra. Il ragionamento che anche la UEFA sta facendo non riguarda solo il calcio italiano. Ci sono delle problematiche comuni ed è per questo che ha senso affrontarle anche nell'ottica di collaborazione tra soggetti che lavorano a livello nazionale ma in un dialogo sovranazionale. Lega Serie A lo sta facendo con la UEFA, noi lo facciamo con i nostri omologhi di questi Paesi e soprattutto col Consiglio d'Europa, che su questo fa un'attività molto intensa. È un ambito che occorre rafforzare obiettivamente. Secondo me, riuscire a parlare in maniera sempre più internazionale di questo tema è una cosa fondamentale per riuscire a fare un lavoro interessante almeno a livello europeo”.

 Crede che nei prossimi anni si riuscirà ad estinguere definitivamente il razzismo negli stadi, sia in campo che sugli spalti?

“Noi dobbiamo lavorare per questo: la nostra speranza e l'impegno deve essere questo. La capacità di costruire degli ambienti di comunità che vivono dell'agonismo, vivono del fatto che ognuno di noi ha una squadra da tifare e alla fine gioisce o soffre per i risultati di quella squadra e per le sfortune o fortune degli avversari ma c’è un perimetro fuori dal quale non si va, che è quello di ferire, colpire, discriminare altre persone semplicemente per quello che sono e per chi sono. Penso che questo sia un impegno che dobbiamo prenderci tutti assieme e che si possa raggiungere”.

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