Ha avuto grande determinazione in campo.
“Ho sempre visto il mio obiettivo davanti a me e mi focalizzavo su di esso ma nel mentre guardavo anche i giocatori più bravi per imparare da loro e migliorare, nella mia carriera ho giocato infatti con tanti giocatori e allenatori forti. Ho sempre cercato di prendere quello che potevo a livello tecnico-tattico dai compagni e allenatori, per esempio: la disciplina di Conte, la spensieratezza di Inzaghi nel preparare le finali, la consapevolezza di Mancini, la visione di gioco di Spalletti... tutti aspetti che hanno fatto in modo che io crescessi anno dopo anno”.
Chi sono gli avversari più forti affrontati?
“Ho giocato contro Ronaldo e Messi: sono campioni, in qualsiasi minuto della partita possono farti fare brutte figure. Quando giochi contro di loro devi essere concentrato per tutta la partita ma per quanto puoi impegnarti hanno delle qualità al di sopra di tutti. Altri sono stati Mbappé, Higuain, Cavani... Appena arrivato all’Inter ho avuto l’onore di allenarmi con giocatori dal calibro di Zanetti, Milito, Cambiaso, Samuel, tutti giocatori che sono diventanti delle istituzioni del club. Vedendo la loro voglia di vincere, la loro determinazione, il loro modo di allenarsi e migliorarsi anche ad un’età avanzata, ho capito che se volevo diventare un giocatore migliore dovevo apprendere da loro. Alla base di tutto però c’è l’umiltà: chi è umile riesce ad analizzarsi nel migliore dei modi in maniera sincera, questo è stato il mio segreto”.
Il Grande Torino e la maglia granata. Che significato hanno avuto?
“Indossare la maglia del Toro è sicuramente un’emozione forte per tutto quello che rappresenta: vivi e percepisci l’amore dei tifosi per i colori, la storia e la squadra che è stata il Grande Torino. Vestire i colori granata non è semplice, è allo stesso tempo un vantaggio e uno svantaggio. Ogni volta che salivamo a Superga era per me un’emozione forte, un qualcosa che ti rimane dentro”.
Ci parli della sua avventura all'Inter.
“Sicuramente all’inizio è stato un po’ difficile, c’era una componente emotiva molto importante: ho sempre tifato Inter e non è facile indossare la maglia e onorare la squadra per cui tifi. Se non sei bravo a trovare il giusto equilibrio rischi di far prevalere la parte emozionale su quella razionale. All’inizio non è stato facile: erano anni difficili per la squadra che era in una fase di ricostruzione, io ho sempre cercato di concentrarmi su me stesso e sul mio lavoro impegnandomi al massimo. Sapevo che con il lavoro sarebbero arrivati i risultati e infatti sono rimasto all’Inter per dieci anni che non è poco”.
Poi le cose sono migliorate.
“Spalletti ha iniziato la ricostruzione dell’Inter proseguendo il lavoro di Pioli - una grande persona e un grande allenatore secondo me - dando linee ancora più dure ma sotto di lui siamo riusciti a tornare in Champions per due anni consecutivi. Con Conte il primo anno siamo arrivati a pochi punti dal vincere il campionato e giocando la finale di Europa League. Il secondo anno invece abbiamo vinto lo scudetto, la più grande soddisfazione della mia carriera sebbene non siamo riusciti a festeggiare insieme ai nostri tifosi per via del Covid. Quando si vince infatti, più che per noi stessi siamo felici di regalare una gioia ad altri. Uno dei rimpianti della mia carriera è stato durante la finale di Europa League quando negli spogliatoi non penso di essere riuscito a trasmettere questo concetto ai miei compagni: vincere per le nostre famiglie a casa che ci guardano”.
Dopo la carriera come si trova?
"Smettere di giocare per me non è stato uno shock, ho sempre immaginato il mio futuro dopo il calcio e piano piano ho costruito il mio presente. C’è bisogno di equilibrio, pazienza, una giusta analisi e di lavorare giorno per giorno, proprio come in allenamento”.
Qual è la cosa che ha fatto la differenza per lei?
"L’equilibrio è stato una componente fondamentale durante tutta la mia carriera, è una qualità che va creata e alimentata dove alla base ci vuole sempre un’analisi quotidiana se stessi. Non conta solo giocare o non giocare, vincere o retrocedere, conta quello che un giocatore fa per migliorarsi di giorno in giorno. Io mi sono sempre fatto un’analisi sincera di ciò che avevo fatto e non avevo fatto in campo e di quello che potevo fare di più”.
Ha sempre tifato Inter.
"In ogni squadra in cui ho giocato ho sempre dato il massimo e tutte mi sono rimaste dentro. Un aneddoto: quando ero al Torino, essendo tifoso interista ho guardato la finale di Champions e una volta finita la partita mi sono detto che era lì che dovevo arrivare: nella squadra per cui ho sempre tifato".
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