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Intervenuto con il suo editoriale per il Corriere della Sera, Paolo Condò ha detto la sua sul mister del Napoli Antonio Conte.
Intervenuto con il suo editoriale tra le colonne del Corriere della Sera, il noto giornalista Paolo Condò ha analizzato al dettaglio le differenze tra Max Allegri e Antonio Conte, i due tecnici di Milan e Napoli che domenica sera si sfideranno a San Siro in una delle classiche più storiche e affascinanti del nostro campionato. Di seguito, dunque, quanto evidenziato.
"Conte sviluppa alla Juve una versione aggressiva della difesa a tre, che è un canone prudente, e con quella vince titoli lì, al Chelsea, all’Inter e in mezzo ci mette un brillante Europeo con la Nazionale più modesta di sempre. A Napoli torna dopo quasi quindici anni alla difesa a quattro, che era stato il primo cambiamento apportato all’epoca da Allegri alla sua Juve: la crescente qualità delle punte (Higuain, Dybala, Ronaldo) gli permetteva di tenere bassa la squadra, ché tanto per quelli il gol non era un problema, e poi con Chiellini e Bonucci difendere nella propria area era un must. E quindi Conte disegna un meccanismo e ci inserisce i giocatori, mentre Allegri compie l’operazione opposta. Ma è il modo in cui sanno trattarli — lo ripetiamo — a fare la differenza. Anche perché la dialettica è tanta parte del lavoro, e la sua decrittazione la sfida che ci viene lanciata. Quando Conte asserisce che quello del Napoli non sia stato un grande mercato, le risposte possibili sono due: ha ragione se si riferisce all’Europa, perché è chiaro che dal Liverpool in giù molte squadre hanno speso follie, ha torto se parla di serie A, perché il Napoli ha allargato la rosa come nessun altro. In ogni caso sottolinea così quanto lavoro debba mettere nello sviluppo della squadra, anche se è quella che ha appena vinto lo scudetto. Quando Allegri ripete che il calcio è semplice, provoca perché la disputa ideologica che certamente gli ha tolto qualcosa è un danno forse perdonato ma di sicuro non dimenticato. Che poi l’asserzione fa a pugni con l’entità del suo staff — dieci figure professionali, se il calcio fosse complicato quante ne chiederebbe, venti? — ma non col suo metodo, basato sull’intuizione da cavallaro più che sulle ore passate al video. Sai che noia".
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