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Ottavio Bianchi: “Napoli? Il dono più grande che abbia ricevuto. Su Maradona…”

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"Era semplicissimo avere a che fare con Maradona. Il problema era sempre avere a che fare con chi pensava di essere lui"
Giovanni Pietropaolo

L'ex calciatore ed allenatore del Napoli Ottavio Bianchi spegnerà domani ottanta candeline. In occasione del suo compleanno l'ex azzurro ha rilasciato un'intervista all'edizione odierna de Il Mattino.

Ottavio Bianchi: "Il Napoli di Garcia? Troppo presto per giudicarlo"

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Di seguito le dichiarazioni dell'ex azzurro: "Lo scudetto del Napoli il giorno più bello della mia vita?No, il giorno più felice fu quando rimisi piede in campo dopo un infortunio praticamente al debutto, a 17 anni, in Brescia-Como. Lesione del crociato. Due anni senza giocare e senza sapere se potessi tornare in campo, tra un ospedale e un altro. Era un calcio diverso da quello di adesso e quello che mi ruppe il ginocchio non prese neppure un cartellino giallo: ora sarebbe squalificato a vita. Ha presente Goikoetxea su Maradona? Ecco, fu la stessa cosa. Però in quei mesi di ospedale prima e riabilitazione poi sono diventato Ottavio Bianchi.Che ruolo ha avuto Napoli nella mia vita?Vivere in quella straordinaria città è stato il dono più grande che mi hanno fatto. Perché non c’è giorno in cui io non abbia imparato qualcosa dai napoletani, un popolo che non si fascia mai la testa, che non si lamenta mai di nulla, che sa come godersi la vita anche nelle piccole cose. Le lezioni di vita che ho imparato nei vari anni sotto al Vesuvio mi hanno aiutato anche come genitore, non solo come allenatore".


Su Maradona

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"Era semplicissimo avere a che fare con lui. Il problema era sempre avere a che fare con chi pensava di essere Maradona. Quelle erano le vere rogne. Sconfissi Maradona in una gara di palleggi, a San Siro, prima di una partita contro l’Inter. Diego era lì che palleggiava con un limone durante il riscaldamento e tutti intorno lo guardavano estasiati. Allora io mi avvicinai alla cesta di frutta e presi un altro limone. E iniziai anche io a palleggiare: “Diego, tu quanti ne hai fatti?”. Ne feci uno più di lui. Per tutto l’anno non faceva che chiedermi la rivincita ma non l’ha mai avuta: sapevo bene che mi avrebbe massacrato".

Sul Napoli di Garcia

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"Come fa a piacere o non piacere una squadra dopo un mese? Bisogna avere del tempo per poter dare un giudizio, non bastano così poche partite. Ed è questo un insegnamento dei miei vecchi maestri. Io sono sempre stato una specie di carta assorbente: apprendevo ogni cosa, ogni giorno, in ogni situazione. Pure le cose che non dovevo fare.Il mio Napoli contro il Real Madrid?Ma quel primo tempo al San Paolo credo che sia negli annali del calcio spettacolo. Forse i più bei 45 minuti giocati dal Napoli in quegli anni. Loro erano formidabili, era una corazzata, ci mise al tappeto un gol di Butragueno. Ma la qualificazione la perdemmo a Madrid, anche perché fummo davvero sfortunati nella partita al Bernabeu che si giocava a porte chiuse. Ma non ho mai avuto rimpianti".

Sugli aneddoti da calciatore e allenatore

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"Ho marcato Pelé. Il Napoli era in tournée in Usa, avevano dei dubbi se tenermi o no dopo un altro infortunio al ginocchio. E mi dissero: tu marchi O Rey. Bel modo per aiutarmi, pensai. Ma fu un duello fantastico, aveva uno stacco fenomenale e giocava di destro e sinistro. Mi tennero pure l’anno dopo.Amici nel calcio? Pochi, forse nessuno. Francesco Lamberti, per tutti Cecco, vice allenatore del Brescia di Renato Gei, mi diede un nomignolo: Ottavio Bottecchia dipendente. Bottecchia fu il primo ciclista italiano a vincere il Tour de France, nel 1924, e Lamberti diceva che io avevo lo sguardo sfuggente e solitario del grande campione. In fondo aveva ragione: facevo uno sport di squadra, ma non ho mai avuto rapporti stretti con altri compagni.Da allenatore c’è una squadra a cui sono più affezionato?Io credo di aver “bucato” solo quando sono stato all’Inter. Ma poi, per il resto, ad Avellino, Como, Napoli, Roma credo di aver dato sempre il massimo e lasciato uno stupendo ricordo.Io ct della Nazionale? No, e comunque non me lo hanno mai proposto. Anche perché non piacevo a nessuno nel giro della Nazionale italiana, e per fare quel ruolo dovevi essere in grado di saper strizzare l’occhio a una fetta di opinione pubblica. E io ero allergico a queste cose. E poi quello è un altro mestiere: il selezionatore è diverso dall’allenatore.La squadra più bella che ho visto giocare?La mia generazione rimase a occhi aperti a vedere il primo Ajax di Cruijff dare spettacolo con quei giocatori universali, capaci di fare tutti i ruoli. E pure io ne rimasi stregato, perché avevano qualità e forza fisica".

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