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Criscito: “Insigne deve ancora imparare l’inglese. Per me è un fratello”

insigne criscito
Le parole di Domenico Criscito a Tuttosport

Sara Ghezzi

Domenico Criscito insieme a Lorenzo Insigne e Federico Bernardeschi hanno scelto di volare in Canada per vivere una nuova esperienza con la maglia del Toronto. I tre italiani sono diventati da subito idoli della tifoseria portando il loro talento in campo ma anche a loro simpatia e leaderchip nello spogliatoio. In particolare il difensore e l'attaccante napoletano sono protagonisti di divertenti siparietti social. Lo ha raccontato Criscito a Tuttosport.

Criscito: "Insigne deve ancora imparare l'inglese. Per me è un fratello"

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Di seguito le sue dichiarazioni:

«No mi pesa emigrare, figuratevi. Ormai sono emigrante di lungo corso -l’esperienza che feci allo Zenit, dove rimasi dal 2011 al 2018, mi ha aiutato tanto in questa nuova avventura. Noi italiani adoriamo il nostro Paese, però all’estero si sta bene, eccome. Qui a Toronto l’impatto è stato meno complicato rispetto a quello con la Russia, intanto per un discorso di lingua e di alfabeto. Voglio essere onesto e no, non vi dirò che parlo perfettamente inglese, ma quantomeno un discorso riesco a imbastirlo... Invece 11 anni fa quando sbarcai a San Pietroburgo riuscivo a malapena a dire “Hallo”. Dei tre azzurri qui a Toronto sono comunque quello che parla meglio inglese: Lorenzo (Insigne) deve applicarsi ancora molto, Federico (Bernardeschi) invece... meglio soprassedere».

Su Toronto

«Toronto è un altro mondo, ancor più di San Pietroburgo: la Russia è a due ore di aereo da casa nostra, mentre qui devi sorvolare a lungo l’oceano. Il livello di vita è altissimo negli Stati Uniti e pure in Canada, che per moltissime cose è Paese assai simile agli Usa. Qui esci dall’ascensore e cozzi in Adam Sandler. Passeggi per andare a berti un espresso e incroci Arnold Schwarzenegger. Ho avuto pure la chance di scattare una foto con LeBron James. No, non mi ha fermato lui per il selfie, non ha mai pronunciato “Mister Criscito, i want to take a selfie with you!”, non diciamo assurditàanzi, ho dovuto farmi spazio tra i suoi bodyguard, ma poi ho sfoderato un gran sorriso, un inglese quasi impeccabile e zac, missione compiuta. Credo che la principale differenza tra il nostro mondo, quello di noi italiani, e il loro, quello dei nordamericani, sia questo: qui tutto è jet-set, qui incontri quelli che da noi sono considerati più che idoli e invece girano per strada portando il cane come capita a tutte le persone normali. Qui tutto è paillettes, tutto sembra un enorme parco dei divertimenti a cielo aperto, una Disneyland 24 ore al giorno 7 giorni su 7».

Sulla sua famiglia

«I miei bimbi adesso sono al settimo cielo. Quando li ho avvertiti che avrei cambiato squadra e che avremmo cambiato tutti città, anzi nazione, anzi continente, sulle prime non erano tanto felici. Dovevano lasciare Genova e i loro amichetti: la stavano vivendo come un piccolo trauma. Appena, però, sono sbarcati a Toronto e hanno capito dove siamo finiti: ci sono parchi per giocare ovunque, ogni giorno hanno sempre e dico sempre qualcosa di divertente o interessante da fare. L’altra sera, ad esempio, li ho portati a vedere la Wwe, il wrestling. Erano esaltatissimi, collane alla John Cena e cinture di campioni in bella vista. E’ stato un grande show, uno spettacolo divertente. Me lo aspettavo diverso, però: del resto fino a poche ore fa l’avevo visto solamente in tv. Ecco, in tele il wrestling appare più rumoroso: dal vivo la gente tifa ma nemmeno troppo. E’ entertainment, un concetto americano totalmente differente dallo sport. Ci siamo divertiti tantissimo, anche se è stato un po’ lunghetto... Tre ore filate... Sì, dai lo dico, bello il wrestling, ma fosse durato di meno sarebbe stato meglio - altra risata - però i miei bimbi si sono divertiti da matti e la cosa importante, l’unica che davvero conta per me, è quella. A Toronto, wrestling a parte, ci sono mille e mille attività, spettacoli, parchi divertimenti: è Disneyland, non siamo a Orlando ma è come se lo fossimo».

Sulla sua carriera

«Sono a fine carriera, chiudiamola così. Il giorno che smetterò di giocare con Toronto smetterò con il calcio. Quando ho scelto la Mls l’ho fatto perché volevo vivere ancora una esperienza diversa e formativa, per me e pure per i miei. I soldi non c’entrano: il mio ingaggio è esattamente uguale a quello che percepivo al Genoa".

Sul suo rapporto con Insigne e Bernardeschi

"Giocare con un amicone, un ‘frat-m’, un fratello vero come Insigne aiuta e molto anche in campo. Conosco Lorenzo da tanti anni, ma non avevamo mai avuto la fortuna di giocare insieme se non in Nazionale. Abbiamo realizzato questo nostro desiderio, vestire la maglia dello stesso club: in campo ci capiamo, io so cosa vuole, lui sa a perfezione quali sono i miei desideri calcistici. Ci troviamo a occhi chiusi, ci intendiamo a meraviglia, parliamo la stessa lingua. E mica solo in campo, pure fuori! Per quanto riguarda Bernardeschi, al momento posso giurarvi che Federico non sta sfoggiando qui a Toronto la gonna tipo kilt con cui si presentò a Torino dopo essere stato acquistato dalla Juventus. Qui gira solo con classicissimi pantaloni. Se si mettesse il kilt per me non ci sarebbe alcun problema, ognuno è libero di vestirsi come più gli aggrada. In spogliatoio non c’è un vero e proprio leader. Diciamo che noi italiani con Bradley e Osorio siamo quelli con più esperienza, siamo i senatori di un gruppo formato da tantissimi giovani. Devo dire che sono ragazzi ricettivi, con grande voglia di imparare: sanno ascoltare chi ha più esperienza e questa è una qualità importante».

Sugli obiettivi del Toronto

«Gli allenamenti in Mls sono simili ai nostri, mentre i ritiri, quando giochiamo in casa, non esistono. L’appuntamento è 1 ora e mezza prima del match allo stadio e per me è una esperienza nuova. Non so dirti se sia meglio o peggio: dipende dai giocatori che hai e dalla loro professionalità. Se uno capisce che la partita è importante sta a casa e si comporta come fosse in ritiro. Le teste calde, invece... Noi in Italia abbiamo la mentalità di andare in ritiro, ma nel nostro calcio ci sono tantissimi professionisti che non ne avrebbero bisogno. Il nostro obiettivo: arrivare ai playoff. Non sarà per nulla facile, ma ci proveremo fino all’ultimo istante anche e soprattutto per la comunità italiana, che qui è numerosissima. Ogni gara che giochiamo in casa metà stadio è occupato da nostri connazionali o da italocanadesi. Il loro amore è costante e fortissimo».