Allenare diventa così un secondo lavoro, portato avanti per passione o per arrotondare. Ma senza la possibilità di farne una professione, l’attenzione al singolo giocatore viene meno. Con stipendi così bassi, inoltre, molti tecnici vedono nel settore giovanile un semplice trampolino personale, un’occasione per scalare categorie. La cura dei ragazzi passa in secondo piano. Eppure, a quell'età, non contano gli schemi né i risultati domenicali: conta la crescita individuale.
Un sistema da rifondare
—Un altro nodo riguarda le famiglie. In Italia praticare calcio a livello dilettantistico costa: tra iscrizioni, materiale e trasferte si spendono dai 300 ai 1.500 euro l’anno (Calcio e Finanza). Non tutte le famiglie possono permetterselo e così il bacino da cui attingere si restringe ulteriormente. Nel 2023-24, secondo il Report Calcio della FIGC, quasi 900.000 giovani tra i 5 e i 16 anni erano tesserati, e si sono disputate quasi 600.000 partite ufficiali, l’equivalente di una ogni 54 secondi. Il budget complessivo per i settori giovanili è aumentato del 52%, a conferma di un investimento crescente, ma ancora insufficiente per competere con gli standard europei.
A tutto questo si aggiunge la mancanza di figure fondamentali. Nei vivai italiani quasi mai ci sono preparatori atletici, nutrizionisti, psicologi sportivi. Eppure un ragazzo di 14 o 15 anni non è solo un piccolo atleta: è un adolescente che ha bisogno di equilibrio, di sostegno, di cura. Anche lo scouting non funziona come dovrebbe. In Italia il talento non sempre emerge per merito. Spesso conta chi conosci, chi ti porta in società, chi ti “spinge” verso un provino. Un sistema opaco che rischia di bruciare ragazzi validi e di favorire chi ha le spalle più coperte. Un esempio? Il servizio inchiesta de Le Iene che vede come protagonista anche Salvatore Bagni, ex calciatore e talent scout.
Il confronto con l'estero e la strada da seguire
—Il confronto con l’estero è impietoso. In Germania, dopo il disastro di Euro 2000, la federazione ha rivoluzionato il settore giovanile: centri federali diffusi, allenatori professionisti, controlli costanti. In Spagna non sono solo Barça e Real a investire: anche i club minori hanno academy di livello, mentre in Inghilterra sono finanziate direttamente dalla Premier League e i tecnici vengono pagati come veri professionisti. Secondo il UEFA Benchmarking Report, nei Paesi emergenti i club investono mediamente 4–5 milioni di euro all’anno solo per lo sviluppo dei giovani, una cifra ancora inarrivabile per la maggior parte dei vivai italiani.
Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Mentre Germania, Spagna e Inghilterra raccolgono frutti abbondanti, noi restiamo a interrogarci sulla mancanza di campioni. La verità è semplice: dietro ogni Musiala, Yamal o Bellingham non c’è solo un talento straordinario, ma un sistema che lo ha fatto crescere. Senza cambiare radicalmente il nostro, dagli stipendi dei tecnici alle strutture dei vivai, l’Italia resterà ferma. E ogni volta che guarderemo quei ragazzi brillare inChampions League, non potremo fare altro che ripetere la stessa, amara domanda: e i nostri talenti, dove sono?
A cura di Angelo Salzano
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