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editoriali

Spalletti one man show: lui fa, lui disfa…e stappa la sua miglior bottiglia

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Spalletti one man show: uno, nessuno e centomila per un copione tutto da scrivere, fluido come il calcio...come la vita

Emanuela Castelli

Che Spalletti, ieri al Maradona: un Napoli sbilenco la porta a casa. Ma c'è solo un protagonista, oggi: ed è il Lucianone toscano

Spalletti fa e disfa, scarabocchia e disegna, si intestardisce e vince. Zitti tutti, Luciano mette in tasca critiche e giudizi e stappa il miglior vino della sua produzione

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Sabato pomeriggio complicato, al Maradona, per gli azzurri. Niente di nuovo sotto al sole, si potrebbe dire, a buon diritto: allo Spezia sono legati ricordi infelici di un passato recente, che ancora non riusciamo a mandar giù. Succede sempre così, abituiamoci, se ancora non lo fossimo: con le “piccole” è stata sempre dura, è dura e lo sarà ancora, probabilmente per tutta la stagione. Il pullman piazzato davanti alla porta spezzina sembra invalicabile, per i ragazzi di Luciano Spalletti. Spalletti, appunto. Spalletti che schiera una formazione ampiamente rivisitata rispetto a quella scesa in campo dal 1’ nella sontuosa prestazione contro i vicecampioni d’Europa. Spalletti che rinuncia al collaudato centrocampo a tre con Lobotka a dettare ritmi di gioco e a disegnare calcio là in mezzo. Spalletti, che schiera al suo posto un Ndombele che decisamente non conquista la palma di migliore in campo e, anzi, conferma una condizione ancora da acquisire. Condizione che, certo, si acquisirà giocando ma la domanda che è “sorta spontanea” un po’ a tutti, leggendo la formazione, è: “Perché dal 1’ e non a gara in corso, magari a risultato acquisito?”. Zielinski a riposo, va in campo Elmas. Spalletti, sempre lui, che preferisce Raspadori come punta centrale a Simeone, che pure tanto bene aveva fatto nei minuti disputati contro il Liverpool, andando anche a rete. “Così è, se vi pare”, Luciano la pensa e la schiera così: bisogna far rifiatare i ragazzi, gli impegni ravvicinati e tutto il resto, ché l’abbiamo visto tutti quanto possa esser deleterio rischiare un calciatore non in perfetta forma, per poi perderlo per un mese o più. Quindi, pronti via, scendiamo in campo con una squadra rivoluzionata e con il cuore tremante, perché tra i vaticini di sventura che si accompagnano – nelle nostre menti – alla parola “Spezia” e Ndombele non al meglio schierato a centrocampo, è impossibile non sentire un umano, troppo umano timore.

Una realtà non ci fu data e non c'è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile”.

E gli incubi che la lettura della formazione aveva creato nella mente di quasi tutti noi (ammettiamolo) sono sembrati trovare conferma in un primo tempo spento, giocato a ritmi bassissimi, difficilissimo nel trovare una soluzione di passaggio chiara, evanescente in fase di conclusione, dove gli azzurri sprecano quel tanto che, pure se a spizzichi e mozzichi, riescono a costruire. Al 45’ si torna negli spogliatoi, giro sui social ed è un plebiscito: “Togli Ndombele per Lobotka, togli Raspadori per Simeone”. Ma Luciano, i social non li apre: apre, però, il suo taccuino e cambia subito. Ndombele in panchina, Lobotka in campo. La partita sembra cambiare ritmo, ritrovare precisione e pulizia nei passaggi, ma quel pullman lì, quel pullman rende la porta dello Spezia una fortino inespugnabile. Dentro anche Zielinski, dentro Simeone, ma l’appannato Raspadori rimane lì, lo sposta sulla sinistra: la prestazione continua a non convincere, le scelte del Mister neanche. Poi, all’89’, il guizzo, il colpo decisivo, l’appannato Raspadori, l’evanescente Raspadori, il quasi nullo Raspadori la butta dentro: 3 punti e a casa. Pratica Spezia archiviata, addomesticata la bestia nera del Napoli dello scorso anno, si torna almeno momentaneamente in vetta alla classifica.

Di ciò che posso essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso”. Luciano fa, Luciano disfa, Luciano cambia e la raddrizza. E la porta a casa, scrivendo un romanzo dalla trama imprevedibile, forse sorprendente finanche per sé stesso.

Perché bisogna che lei fermi un attimo in sé la vita, per vedersi. Come davanti a una macchina fotografica. Lei s'atteggia. E atteggiarsi è come diventare statua per un momento. La vita si muove di continuo, e non può mai veramente vedere se stessa. […] Lei non può conoscersi che atteggiata: statua: non viva. Quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire. Lei sta tanto a mirarsi in codesto specchio, in tutti gli specchi, perché non vive; non sa, non può o non vuol vivere. Vuole troppo conoscersi, e non vive”. E allora , viviamo questa sempiterna giostra che è il calcio, che è la vita…e non riflettiamoci troppo su!

Alla salute!

Avanti Napoli!