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La Nazionale ha poco talento e per ora nessun volto: Spalletti creerà gioco, non giocatori

La Nazionale ha poco talento e per ora nessun volto: Spalletti creerà gioco, non giocatori - immagine 1
L'Italia deve ricrearsi un'identità perché con quella ha vinto gli Europei. Mancini, però, era stanco: Spalletti dirà la sua, ma la Nazionale non sarà mai il suo Napoli. Così come il Napoli di Sarri non si è mai riproposto in altre squadre
Mattia Fele
Mattia Fele Editorialista 

La Nazionale di Spalletti non sarà mai il Napoli di Spalletti. Anzi, per fuorviare da ciò che può sembrare un moto d'orgoglio, potremmo dire che l'Italia non sarà neanche la Roma o l'Inter di Spalletti. Che nella comunicazione è stato impeccabile, eccetto per un passaggio: non è vero che ora allena una squadra il cui presidente può prendergli chi vuole. Può solo scegliere calciatori italiani, in un momento storico in cui non esistono italiani top player. Per intenderci, nessuno (forse al massimo Barella) dell'undici titolare di ieri partirebbe dall'inizio nella formazione di Bayern, Real Madrid, Manchester City. Osimhen, Kvaratskhelia molto probabilmente sì.

Osi o non osi

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A Skopje ieri sera si è vista più o meno la Nazionale di Mancini, con lo stesso difetto di fabbrica: non si segna. Tanta produzione di gioco, qualche buona trama sulle fasce ma poche conclusioni realmente pericolose. Lo stesso gol di Immobile è nato da un rimpallo e il centravanti della Lazio stava pure per non approfittarne a porta vuota. In una partita mediocre, su un campo clamorosamente inferiore agli standard UEFA (su questo si potrebbe scrivere un libro: com'è stato possibile permetterlo? È al limite della regolarità se non ben al di sotto ndr), ha prevalso l'insicurezza dell'Italia e la tecnica di Eljif Elmas, esterno del Napoli che ha fatto vedere di essere un giocatore moderno coi fiocchi. Vera spina nel fianco.


Per Spalletti poco di guadagnato, se non (per ora) il prestigio di allenare la Nazionale a cui tanto aspirava il mister di Certaldo. Ed è giusto che sia lì essendo il miglior allenatore in circolazione, eletto come vero top player di questa selezione. Lui sì che potrebbe allenare Manchester City, Bayern o Real Madrid. Ed è pur vero - per togliere ogni dubbio lo diciamo - che in 5 giorni neanche Harry Potter avrebbe potuto trasformare Zaccagni e Zaniolo in Bernardo Silva e Leao. Ciò che si spera di vedere da questa Nazionale sarà un'identità (ancora) più forte, che dopo l'Europeo si era un po' sbiadita ma che proprio in quell'occasione sembrava essere stata rivoluzionata dal predecessore. Chi si aspettava di vedere dopo una settimana il Napoli di Spalletti o in generale lo attende a breve, forse avrà lo stesso destino di chi chiede a Sarri di esprimere ancora oggi lo stesso calcio del triennio sotto al Vesuvio 2015-18. L'irriproducibilità è una cosa bella. Anche un po' da perseguire. È il valore dell'unico. E per Spalletti uno come Osimhen era molto importante, pur essendo bravissimo. Questione di averceli giocatori così: Osi o non osi.

Questa Nazionale ha bisogno come l'aria di ritrovare - come ha detto il mister - un po' di senso di appartenenza, sentire l'importanza del vestito blu che si indossa ma ha pure necessità di ritrovarsi tecnicamente. Di sentirsi forte in un copione collettivo ben rodato. Di conoscersi a memoria. Non bastano "i blocchi" dei club: le intese di Zaccagni-Immobile o Di Lorenzo-Politano, come se fosse una squadra su Fifa Ultimate Team. Questo per dire che le problematiche del calcio italiano e della Nazionale sono politiche, infrastrutturali, riguardano i settori giovanili (e il senso di civiltà) e insomma ineriscono al campo di ciò che è sul fondo. Non si poteva pensare di vincere 4-0 e di esibirsi già pronti-via. L'Italia di Spalletti difficilmente otterrà di più del quinquennio manciniano, ciò nonostante sarà per Spalletti un piacere allenarla e per chi scrive un onore stare a guardare le gesta di un uomo che ha mostrato - seppur venendo meno al suo accordo col Napoli - che di certo non ha lasciato la squadra che ha vinto lo Scudetto per mancanza di coraggio. Perché questa storia qui, senza Lobotka, Osimhen, Kvaratskhelia e via dicendo sarà molto più dura.

 

Di Mattia Fele

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