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Spalletti, De Laurentiis e la questione di principio in un calcio privo di princìpi

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L'affaire FIGC-Napoli sul tecnico di Certaldo è molto più centrale e cruciale di quanto si potrebbe pensare: riguarda la credibilità dell'intero movimento calcistico italiano
Emanuela Castelli
Emanuela Castelli Giornalista 

Il lauto pranzo ferragostano dei napoletani è stato arricchito dal durissimo comunicato di Aurelio De Laurentiis, intervenuto senza mezzi termini in merito alla questione Spalletti-FIGC. Erano da poco passate le 14 quando, nel bel mezzo dei più classici bagordi culinari del più classico dei 15 di agosto, la quiete di un'estate priva di polemiche è stata scossa dalle parole del numero uno partenopeo, che ha deciso di dire la sua sulla succulenta notizia che era a metà tra terra ed aria già dalla giornata del 14: Spalletti primo candidato al ruolo di CT dell'Italia.

Spalletti, De Laurentiis e la credibilità del calcio italiano

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In un calcio sempre più privo di princìpi, dove i contratti sembrano carta straccia ad uso e consumo di una sola delle parti in causa, e ci si sente sempre più legittimati a non rispettare gli accordi presi, il patron del Napoli prova a ricordare - e lo fa senza giri di parole - che la deroga non può e non deve essere la regola e che il mondo del calcio è chiamato a crescere, a responsabilizzarsi, a "diventare adulto", diremmo noi.


Già, perché è anche questo, uno degli aspetti che consentono a ciascun uomo di passare dalla fase infantile a quella adulta: l'assunzione delle proprie responsabilità. Perché il calcio, seguito da milioni di utenti, dovrebbe sottrarsi a questa "regola"? Perché proprio il calcio, che si riempie la bocca di valori (puntualmente disattesi nell'indifferenza generale - vedasi cori di discriminazione territoriale o cori razzisti nei confronti dei quali, spesso e volentieri, ci si tappano orecchie e bocche) dovrebbe sfuggire a questo principio?

La domanda - sospettiamo - resterà inevasa. Eppure la questione è semplice: Spalletti aveva un accordo con il Napoli, questo accordo prevedeva un'opzione unilaterale a favore dalla Società, che avrebbe potuto prolungare il contratto del tecnico toscano di un ulteriore anno (stagione 2023-2024) oltre i due previsti dall'accordo iniziale. La Società ha esercitato l'opzione tramite PEC per poi incontrarsi con il tecnico di Certaldo, che ha comunicato la volontà di non proseguire il rapporto lavorativo con il Napoli.

Nelle settimane successive, a scudetto acquisito e in prossimità dell'ultima giornata dello scorso campionato, il Napoli ha ufficializzato l'addio, motivandolo con la volontà di Luciano Spalletti di prendersi un "anno sabbatico": ricordate il famoso "Quali ali? Per fare ciò che devo fare mi occorrono degli stivali" di spallettiana memoria? E ancora, il legittimo desiderio del tecnico scudettato di trascorrere tempo con la famiglia, con la figlia, insomma di dedicarsi agli affetti più cari da cui due anni intensissimi di Napoli lo avevano giocoforza allontanato.

E allora, De Laurentiis, forse subodorando il rischio che la volontà del tecnico potesse cambiare, sicuramente allo scopo di tutelare il Napoli, ha deciso di inserire la penale in caso di ritorno anticipato del mister toscano in panchina. Perché questa penale non dovrebbe adesso esser pagata dal tecnico o dalla FIGC, qualora si chiudesse l'accordo che vedrebbe Luciano Spalletti sulla panchina della Nazionale Italiana?

In molti rispondono tirando in ballo la riconoscenza che la Società Sportiva Calcio Napoli dovrebbe mostrare nei riguardi dell'ex tecnico azzurro: una riconoscenza che però non avrebbe dovuto mostrare, qualora si fosse avvicinata al tecnico la Juventus, o un altro club italiano. Una riconoscenza a tempo determinato, o a determinate condizioni, dunque.

Sembra non reggere ai colpi dell'analisi logica anche la teoria in base alla quale bisogna accettare che Spalletti abbia deciso di andar via da Napoli perché non intenzionato a continuare a lavorare con Aurelio De Laurentiis: scelta legittima, per carità, ma delle scelte è giusto e doveroso assumersi la responsabilità, che ci si chiami Pincopallino o Luciano Spalletti.

Dunque se, come sembra dal duro comunicato di De Laurentiis, la penale vale anche per le Federazioni, perché non chiedere l'ammontare della stessa per permettere al tecnico di sedere sulla panchina della Nazionale italiana?

Il calcio è chiamato a crescere, quello italiano in particolar modo: se il suo appeal è così basso negli ultimi anni, il rispetto delle regole e dei contratti potrebbe restituire parte della credibilità ad un movimento che sembra averla perduta, tra dichiarazioni improvvide e decisioni che lasciano - spesso - l'amaro in bocca.

Si riparta dalle regole e dal loro rispetto, per restituire dignità ad uno sport che resta - per i più -  il più bello al mondo.

 

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