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editoriali

Napoli: un monumentale Prometeo ruba il fuoco ai diavoli rossoneri

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Prometeo, ieri sera, vestiva una maglietta azzurra ed ha rubato le fiamme all'inferno rossonero

Emanuela Castelli

Napoli...MONUMENTALI! Spalletti versione Prometeo ruba le fiamme dell'inferno rossonero

Il Napoli spegne il fuoco dei diavoli milanisti e risorge come Araba Fenice dalle sue ceneri, troppo ardenti per non bruciare più

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Ogni blocco di pietra ha una statua dentro di sé ed è compito dello scultore scoprirla” (Michelangelo)

Statua: consegna volontaria di una storia all’immortalità senza tempo, eternità immobile di sostanza intensamente materica. Freddo marmo che si fa scrigno di emozioni che si sottraggono - impetuose - alle categorie di spazio e tempo. Questo è il Napoli di Luciano Spalletti che ha sfidato in un Meazza stracolmo e vivace i diavoli rossoneri. Che diavoli sono stati, tentando di incenerirci nelle loro fiamme, di bruciare primati e sogni di gloria in un fuoco indomabile. Ma Prometeo ha trovato il modo di domare quel fuoco, ed aveva le sembianze di 16 uomini con le maglie azzurre. 16 uomini che sono diventati un solo corpo, pronto a resistere agli umani affanni imposti dalla vita, pronto a risorgere come Araba Fenice da ceneri troppo ardenti per non bruciare più. Fuoco contro fuoco, il Napoli resiste alle folate dei diavoli di Pioli. Intasca la loro forza arrembante, la soffre, sembra spegnersi. Loro dominano per i primi 45’, Meret nega due gol fatti. No, non è la serata del diavolo, questa qui. Ché domani è pure San Gennaro, e non possiamo proprio permettercelo, questo affronto adesso. Kvaratskhelia sbaglia un paio di controlli, Calabria lo contiene bene, ma…“come può uno scoglio, arginare il mare?”. Ed infatti non lo argina: Kvara costringe al cartellino giallo Calabria e Kjaer e si procura il rigore del momentaneo vantaggio. E, forse, non è un caso che vesta proprio il numero 77: ah, la smorfia non sbaglia mai! Politano sale in cattedra con l’ennesimo rigore trasformato con una freddezza – anche quella – statuaria. E poi arriva il Cholito: è la sua partita, è la sua occasione, e così ci pensa proprio lui a spegnere le fiamme rossonere e a chiudere il match.

Parlo della bellezza. Non ci si mette a discutere su un vento d’aprile. Quando lo s’incontra ci si sente rianimati. Ci si sente rianimati quando si incontra in Platone un pensiero che corre veloce, o un bel profilo in una statua”(Ezra Pound)

La Bellezza: concetto soggettivo, discutibile, passibile di multiformi interpretazioni. L’abbiamo decantata negli anni di Sarri, per quell’armonia capace di scrivere melodie indimenticate nel rettangolo verde. Sintesi perfetta di gioco e impegno, fusione semi-onirica di calcio e vita. Ora assistiamo a qualcosa di diverso, eppure bello, bello oltre l’immaginabile. La forza dirompente dei ragazzi di Spalletti cattura lo sguardo, conquista il cuore. Trascina lassù, ad altezze che solo un paio di mesi fa vagheggiavamo come ricordi lontani, obiettivi effimeri, chimere da inseguire in una rassegnata fantasia. Il Napoli di Luciano Spalletti non è un Narciso che, innamoratosi della sua bellezza, si specchia nelle acque fino a morire annegato, ebbro della sua immagine. Il Napoli di Luciano Spalletti è una donna bella proprio perché normale. Ché magari non te ne accorgi nemmeno, quando passa davanti a te: non si veste di presunzione, non ammalia buttandoti in faccia il suo corpo palestrato. È quel sorriso che non riesci a dimenticare, quello che nasce – sorprendente- tra le lacrime. Quello sguardo che ti cattura, senza volerti catturare, mentre guarda distrattamente la folla in metropolitana, mentre legge un libro di poesie quando tutto intorno la vita brulica di impegni e di “farò”.

Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori, e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me e io non ero con te” (Sant’Agostino)

Il Napoli di Luciano Spalletti è il Napoli dei giovani arrembanti e solidi nella loro matura incoscienza. È il Napoli dei sogni realizzati, che ne chiedono ancora, e ancora. È spregiudicatezza di chi vuole mangiare la vita, e le occasioni ch’essa offre. È vigore di chi non porta sulle proprie spalle il peso insopportabile di infinite delusioni che spengono ardori e desideri. È il Napoli di Meret, vituperato, calpestato, criticato, messo in un angolo, e poi rinato, capace di sbarrare la saracinesca a palloni e pregiudizi. È il Napoli di Mario Rui, eterno, immortale Mario Rui: ingiustamente sempre nell’occhio del ciclone, da sempre al centro di polemiche e discussioni senza senso, lui sfoggia il suo sempiterno sguardo furente e snocciola un assist che è invito a nozze per chi ha sempre sognato di accasarsi.

Accendi un sogno e lascialo bruciare in te” (William Shakespeare): il monumentale Napoli di Spalletti osa sognare senza neanche dirselo. Si concede il lusso di mirare lassù, sentendolo come un diritto. Non chiede permesso, perché non conosce bon-ton. Gioca con pallone e paure, prendendo in giro entrambi. Prendendo un po’ in giro anche se stesso. Perché, in fondo, “il segreto del successo nella vita è fare della tua vocazione il tuo divertimento” (Mark Twain).

Avanti Napoli!