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editoriali

È colpa del calcio se a Napoli si sogna lo scudetto e non lo si potrà mai vincere

Edoardo Riccio

Una stagione vissuta a ritmi altissimi, con un sogno scudetto rimasto vivo quasi sino al termine della stagione, eppure forse non è colpa del Napoli, nonostante i tanti rimpianti, perché il responsabile è uno solo...

Rabbia, collera, indignazione per un risentimento vivo, ardente nelle viscere del cuore: ammettiamolo, la sconfitta del Napoli con l'Empoli in Serie A è ancora cocente, la goleada rifilata al Sassuolo ancor di più. Brucia come non mai aver sciupato il senso per cui vivono da anni molti tifosi. Un sogno. Perché in fin dei conti un sogno è lo Scudetto, che anche quest'anno resterà tale ed inappagato. E qui entrano in gioco le colpe, le accuse, le critiche tanto giuste quanto severe; disapprovazioni, d'altronde, rivolte a chi?

I giudizi negativi, sorti nelle menti caotiche di ognuno di noi, a chi o cosa sarebbero rivolti? Al povero Spalletti? L'obiettivo stagionale è stato già centrato, il distacco dalla quinta in classifica è consistente, quindi il pass per la prossima Champions League è lì pronto per essere strappato.

Allora i colpevoli potrebbero essere i calciatori? Ahimè, i tempi sono cambiati: l'attaccamento alla maglia è divenuto aspetto mutabile già dall'avvento del nuovo secolo; eppure gli azzurri allenati da Luciano sembravano voler conquistare il tricolore non soltanto per una soddisfazione personale, ma anche per rimpinzare di gioia il cuore dei tifosi partenopei. L'amore e l'affetto sono  sentimenti veritieri, in virtù della simbiosi con una città che è metafora del calcio.

Allora colpevole potrebbe essere il Maradona, dimora del Napoli e di "Pelusa" in seguito alla sua scomparsa? Un'ipotesi non necessariamente inammissibile. Da santuario del D10S è divenuto, infatti, il teatro della frantumazione dei sogni azzurri. Forse la denominazione in onore di Diego grava sulle spalle dei partenopei come un ingente fardello, forse il vento di Marechiaro e le statuette del Pibe de Oro rappresentano un onere insostenibile.

Ma è colpa del calcio se...

Probabilmente però risolvere l'enigma è più semplice del previsto, perché plausibilmente è solo colpa del calcio. È colpa del calcio perché questo sport implica meraviglia, predilige meraviglia e quest'ultima genera illusioni, fantasticherie, vagheggiamenti in molte occasioni mai esauditi. Dalla meraviglia comincia l'itinerario, l'evasione, dallo stupore prende avvio tutto il grappolo di emozioni, le quali manipolano l'essenza di ognuno di noi. Lo diceva già Aristotele.

È colpa del calcio in sé se i tifosi creano una relazione prolungata e sentimentale con questo sport. In qualche modo il gioco seduce, attrae in una maniera da cui è difficile distaccarsi del tutto. E in una città nella quale il calcio dipinge di azzurro pure i muri dei numerosi vicoli ed acquerella persino il Tirreno, frenare questi impulsi personali è un'impresa. Napoli è tanto calcio.

È colpa del calcio, dunque, se la natura di Napoli suscita questo sentimento di sbalordimento e di rimando si comincia a sognare - quello che forse per altri anni ancora i tifosi azzurri dovranno continuare a fare -. Sulla scia delle parole del patron, i partenopei sono partiti come una Ferrari, "che poi proprio ad Imola è caduta", perché "lo scudetto è una lotteria, alla quale partecipano in tanti, ma è difficile vincere. Quest'anno l'avremmo potuto conquistare, ma la priorità assoluta era il ritorno in Champions League".

Il senso di sfiducia genera un vuoto ciclopico: tante le aspettative deluse, una chimera di illusione, esposta allo sbuffo del gelido vento milanese, infrange sogni inappagati da troppo tempo ormai. Ma tanto si sa, l'abbiamo detto, il colpevole è stato già rintracciato: è colpa del calcio, è solo colpa sua se a Napoli si sogna lo scudetto e non lo si potrà mai conseguire, se non lo si potrà mai vivere intensamente come ogni cosa in questa città.

A cura di Edoardo (Eddi) Riccio

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