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editoriali

Napoli, che sia davvero giunta la maturità? L’assenza di leader e la spinta dei giovani

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E chi lo sa, se quest'anno sarà davvero "l'anno buono"...l'anno della maturità

Emanuela Castelli

Napoli. Suggestione. Potenza. Coraggio. Forza. E ancora suggestione. In due parole: nuovo corso

I 90’ del Napoli ad Ibrox possono essere descritti così: quattro parole che condensano stupore, fuoco, meraviglia di una potenziale disfatta che diventa rigogliosa affermazione del sé

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Già, perché l’errore semisuicida di Rrahmani in avvio sembrava avvertirci che la serata di Glasgow non sarebbe stata facile. I primi 45’ sono stati di studio e pazienza, virtù – quest’ultima – nella quale gli azzurri hanno spesso difettato. Ma stavolta no. Le tele più belle si tessono con calma, rimandano all’immagine romantica ed ingiallita di una nonna con la schiena ricurva a ricamare, accanto a lei un camino acceso, un paio di candele ad illuminare le trame dell’opera che sarà, occhiali grandi e spessi a sopperire ai difettucci della vista che il tempo, impietoso, beffardamente regala ad un coro squisitamente sempre troppo umano. La prima frazione di gioco scivola via senza particolari sussulti, su un parziale di 0-0 confermato anche dalle statistiche: sostanziale parità tra le due formazioni. Nessuna delle due vuole perdere, entrambe sono chiamate a vincere: gli azzurri per quella continuità che spesso è stata chimera inafferrabile, i Rangers per scacciare i ricordi recenti di una doppia sconfitta troppo amara per poter essere derubricata ad incidente di percorso ed ingoiata con la rassegnazione di chi prende consapevolezza di una ricetta mal riuscita.

“Non ci è dato di scegliere la cornice del nostro destino, ma ciò che vi mettiamo dentro è nostro”

Si torna in campo e i primi minuti del secondo tempo diventano teatro dell’assurdo, dove gli scenari più impensabili non solo accadono ma si ripetono, incalzanti e beffardi schiaffi a ricordarci che “Non ci è dato di scegliere la cornice del nostro destino”. Sempre. Zielinski, uno dei giocatori più in palla di questo avvio di stagione: proprio lui, il “potenziale top player”, il “campione che non sa di esserlo”, l’ “eterno imperfetto mai compiuto” si piazza vicino al dischetto e la sbaglia. Ma il destino – con lo pseudonimo di Mc Gregor - ci concede, gli concede una seconda possibilità: il portiere avversario, infatti, si muove prima del fischio, tutto da rifare. Piotr riporta anima e pallone sul dischetto, volto teso nella tipica espressione di chi sa quanto possa pesare un pallone così. Ma gli pesano anche le gambe, e la testa. Soprattutto la testa. Così succede l’incredibile: il polacco sbaglia anche il secondo tiro dagli undici metri. Poteva essere la disfatta, poteva essere quel piano inclinato verso l’ineluttabilità di una storia dall’epilogo già scritto, fatto di fantasmi che animano le oscure notti solitarie di un bambino che ha paura del buio ma che non ha il coraggio di correre nel lettone di mamma e papà. Ed invece…invece, ecco che interviene il protagonista che non ti aspetti. E non è il tipico eroe favolistico che sbuca dal nulla e risolve i guai, non è un superman moderno dai piedi buoni. Ma ha le mani salde di chi sa che, finché l’orologio gira, tutto è ancora possibile. Ha i piedi sicuri di chi sente che il terreno sotto può tremare ma tu puoi ballarci sopra, e quel tremore si trasformerà in una trainante danza orfica e salvifica. E non è giovane, ma fa rivivere la giovinezza con occhi nuovi, più leggeri.

Sì, perché stasera ad Ibrox Park il Napoli non ha portato solo la prestazione sontuosa di Politano, l’ormai irrinunciabile fantasia di Kvaratskhelia, la reattività di un ritrovato Meret, le solite geometrie di Lobotka. Il Napoli, in quel campo (da brividi l’omaggio alla Regina Elisabetta ed il silenzio di 60’’, carezza per l’anima che si è sentita – per un attimo – molto britannica), ha portato quello che gli era sempre mancato: la maturità. Paradossale, che questa paia essere giunta con una squadra giovanissima, che scommetterci sembrava un azzardo da non crederci.

“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici”

Maturità è quella che spinge Politano a tirare il terzo rigore con la concentrazione e l’attenzione di chi combatte contro i suoi mostri ma poi pigia il tasto off. Maturità è quella che porta in gol, dopo un uno-due nello stretto spettacolare con Olivera, nuovamente Raspadori, decisivo contro lo Spezia, concreto contro gli scozzesi. Maturità è quella che accompagna il piede di Ndombele al tiro vincente: 0-3 e tutti a casa. 0-3 e al diavolo le critiche, il “fuori condizione”, il “fuori ruolo”.

Entrano e segnano o partecipano all’azione del gol. Entrano e rispondono presente. Segno di una mentalità nuova, più centrata forse, magari più vogliosa, perché non fiaccata da milioni di delusioni precedenti, che possono far pensare all’ennesima “favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude”, dal copione già scritto, dal finale sempre amaro.

Io non lo so, se oggi abbiamo davvero quella maturità che ieri non avevamo. Otto partite non sono che l’inizio di una stagione lunghissima e particolare, ma non sono neanche poche per poter fare un primo bilancio di quel che ha detto il campo fino a qui.

La sensazione, però, è che “Nascono pensieri precisi, nuovi, stilizzati, efficienti. Maturità”.

Avanti Napoli!

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