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editoriali

Il nuovo Napoli appartiene (finalmente) a chi dice fiero «questo è il mio posto». Così si vince

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È stata una di quelle sere lì: come le piogge bibliche di Napoli-Lazio e Napoli-Frosinone, come Koulibaly che fa Prometeo e ruba il fuoco a Torino nel 2018. Il 4-1 al Liverpool è una ciliegina di una torta preparata da tempo. Ah, c'era anche Dries

Mattia Fele

Il Napoli del ridimensionamento del tetto ingaggi - senza Dybala, Pogba, Di Maria e Batman o altre figure mitologiche - ha umiliato il Liverpool vice campione della scorsa edizione della Champions. Un Liverpool diverso ma comunque vincente e tra le prime squadre per blasone e valori attuali della Premier League, campionato di ricconi e fuoriclasse assoluti. Ancora una volta si svela l'ovvio: i tifosi devono restare tifosi e lasciare la gestione tecnica a chi svolge tale lavoro da diversi decenni. D'altronde nessuno si sognerebbe di indicare ad un idraulico come sistemare le tubature intasate. Stando al campo, potremmo dire che il campionato italiano non è così indietro. La ricetta la pubblica in bacheca il Napoli: giocate provate, intesa tra i calciatori, allenatore che dà identità e calciatori che tra loro compensano i limiti vicendevoli con sacrificio. In più, buoni calciatori. Quelli aiutano sempre. Il percorso tracciato è straordinario, di quelli storici.

Mentre parliamo, Anguissa sta ancora correndo

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Spalletti ha tatticamente affondato il 4-3-3 più temuto d'Europa. Nonostante fosse in un momento di forte rivoluzione (vi ricorda qualcosa? ndr), il Liverpool di Klopp continua ad essere un modello europeo per quanto riguarda la verticalità, la velocità di riconquista del pallone e soprattutto la ricerca spasmodica del riempimento degli spazi alle spalle di quegli altri che sono gli avversari. Già dai tempi di Dortmund il tedesco era maestro in questo movimento tutto dritto dei suoi uomini e ha prodotto campioni come Reus e Lewandowski, come Mané e Wijnaldum. Non oggi, però. Questa sera il Napoli ha dettato i tempi. Metronomo di sé. Ha riempito i vuoti dopo averli creati, ha assassinato la linea difensiva avversaria con inserimenti da ogni dove, scambi veloci e soprattutto enorme intensità nel produrli. Questo ha fatto la differenza.

43 secondi e già Osimhen è dinanzi alla porta. Alisson non può anticiparlo e il nigeriano calcia sul palo (un altro). Azione successiva: Kvaratskhelia serve Zielinski dopo un'occhiata al centro e il polacco calcia sul braccio aperto di Milner. Rigore e gol. Osimhen poco dopo sbaglia prima un altro rigore, poi serve Kvara che a porta vuota si fa recuperare da Van Dijk che impedisce il tracollo. Che arriva comunque come un inevitabile temporale. Con il tempo e con il dominio, non del gioco ma del terreno di gioco. Il Liverpool ha provato i suoi soliti cambi di fronte in velocità per spostare la linea stretta verso il lato del pallone, ma mai si sono trovati gli spazi giusti o la superiorità con sovrapposizioni, esclusivamente grazie ad un'attenzione pazzesca in fase difensiva da parte di tutti gli undici azzurri. Azzeccata anche la scelta di Olivera in enorme crescita rispetto alle iniziali difficoltà fisiche, viste in ritiro ma anche contro il Lecce parzialmente. Il suo passo è importante, anche se manca un po' di tecnica in uscita (ma abbiamo negli occhi Mario Rui). Kim e Rrahmani hanno semplicemente letto ogni palla. Tutte. Meret bravo nelle uscite basse e alte, bravo tra i pali e pulito quasi sempre sui rinvii. Unica pecca: l'infortunio di Osimhen. Victor - come avevamo raccontato - non era al meglio ma rischiarlo era necessario. Il suo problema muscolare verrà valutato tra i prossimi giorni ma di certo salterà "lo Spezia ed altre gare nelle prossime settimane" - come raccontato da Spalletti. 

Proprio dall'infortunio di Osi nasce il terzo capolavoro, da cinema. In panchina il sostituto si chiama Giovanni Simeone e attende la sua occasione in Champions League da quando è nato. Ha un tatuaggio sul polso sinistro con il simbolo del pallone "stellato" della competizione più importante al mondo. Sogna di segnare come suo padre, di incidersi nella storia. Così Kvara si inventa regista cinematografico e dopo 70 secondi dal cambio decide di bruciare Arnold e saltare Gomez, che poi non regge il confronto fisico e subisce un passaggio filtrante del georgiano in area di rigore. La palla arriva a Simeone. È 3-0. Giovanni piange perché non può fare nient'altro: è argentino e ha segnato al Maradona il suo primo gol in Champions alla sua prima presenza e al suo primo pallone toccato. I più parlerebbero di predestinazione. Non c'è la pioggia di Mertens e Higuain nel 2016 contro il Frosinone, ma non manca la certezza che questo giocatore qui potrà essere importante nel futuro del Napoli anche dopo una cessione di Osimhen (si vedrà già da sabato: giocherà dal primo secondo).

Per il resto della gara il Napoli cade in piedi e non rischia niente, se non qualche ripartenza o qualche azione di sfondamento avvolgente, come solo il Liverpool sa fare sfruttando la stanchezza degli avversari. Una stanchezza che non è mai deconcentrazione, però: Lobotka e Anguissa (che si è messo in tasca mezzo Liverpool) commoventi, ma Zielinski ha dipinto calcio come aveva predetto Klopp stesso. Il primo rigore è perfetto (qualcuno sa spiegare perché li calciava Insigne?), ma il 4-0 con scavetto ad Alisson la dice lunga sulla forma di questo ragazzo, che se è in fiducia può giocare titolare anche nel City e nel Madrid. Non è un talento qualunque. Ancora, però, il Liverpool si fa trovare impreparato su una palla scoperta da centrocampo: i difensori scappano malissimo e lasciano Simeone completamente solo (per lui anche un assist, quindi ndr), dopodiché per Zielo è tutto troppo facile. Magra consolazione il 4-1 di Luis Diaz, per distacco il migliore fra i confusi e abbacinati Reds. Ma quindi il Napoli è forte? Sì.

Spezia, Rangers e Milan prima della pausa e senza Osimhen. Poi Torino e due volte Ajax con in mezzo la trasferta di Cremona. Sei gare non per capirsi ma per confrontarsi ulteriormente col passato. Nel 2018 e nel 2019 il Napoli aveva già vinto con il Liverpool (che era più forte e più in forma, più rodato e più in condizione) ma non così: non con questa freschezza, non con questa voglia di farsi vedere. Non questa fame assatanata di dire a se stessi sono arrivato, questo è il mio posto. È il Napoli di Rrahmani, Kim, Olivera, Kvaratskhelia e Simeone. Osimhen e Di Lorenzo, un ragazzo capitano di un club europeo e moderno proveniente da 26 anni di anonimato professionistico. Ma è anche il Napoli di Spalletti, che si conferma un allenatore vero perché fa del lavoro il suo punto di forza e dell'identità il suo mantra più sonante. Così si diventa uno dei 4-3-3 più fieri e completi dell'attualità calcistica. Fluidità, tecnica individuale, affiatamento, soluzioni variegate, tanti cambi. Se il nemico infortuni resta alle porte e non disturba (un po', in qualche modo, dovrà incunearsi per forza in questa stagione senza senso), qui si può lasciare un ricordo senza precedenti. Nel frattempo mettiamo questi 11 in una teca: sono tra i migliori in assoluto della storia del Napoli dal 1926. Dovevamo lasciarci sorprendere, lo hanno fatto.

Di Mattia Fele

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