È lo schiaffo che serviva; il Napoli non vuole l’imbarcata ma capisce che difendere l’1 a 0 lo consegnerebbe all’uscita del turno quasi sicura. E comincia ad osare
Ve lo ricordate il Napoli che durava al massimo un tempo? Vorrei scrivere che quel Napoli non c'è piú ma direi una bugia. Il Napoli ieri sera probabilmente non è durato nemmeno 45 minuti pieni, ma stavolta è sembrato tutto diverso. Avete presente Rocky 4? Il memorabile incontro tra Balboa e Ivan Drago? Rocky comincia i primi round a buscarle come se non ci fosse un domani. Sembrava dovesse andare a terra già al primo round. Però resiste, resiste e resiste. Poi comincia nel finale a sferrare i primi colpi importanti contro un avversario che scopre non essere invincibile. Prende coraggio e si rende conto che ce la può fare. Ok, sto esagerando mi rendo conto, non è andata proprio così. Sto un po' romanzando la realtà come fece quel film, classica americanata. Nel lungometraggio addirittura si vide il pubblico russo decidere nel corso del match di tifare Rocky anziché Ivan Drago. No, non possiamo parlare di stoica resistenza e poi di assalto corposo, fulminante e micidiale.
Però non mento se dico che il Napoli è sceso in campo impaurito contro un Barcellona forte, al di là del blasone, ma non quello di una volta. Qualche numero sparso per chiarire le proporzioni tra i contendenti: il Barcellona è terzo in Liga, unica squadra del suo campionato ad essere imbattuta in trasferta e con una media di 2 gol a partita. In rosa tipi come Lewandowski , De Jong e il bambino prodigio Jamal. Il Napoli è nono (o decimo che dir si voglia) in classifica. E ha battuto tutti i record negativi di una squadra che era stata l'anno prima campione d'Italia. In città scorrevano stranamente sensazioni positive dal mattino; da queste parti è sempre così. Ci si esalta o si cade nello sconforto per un nonnulla, ma al momento di scendere in campo la speranza prende sempre il sopravvento. Lo stadio è pieno, c'è la coreografia, c'è l'urlo "the Champions", c'è entusiasmo.
Poi comincia un mezzo incubo durato circa mezz’ora. Il Barcellona fa la partita e se non la mette dentro è per suoi demeriti. Noi arroccati e impauriti. Il loro pressing è tosto e noi fatichiamo perino ad uscire non dalla metà campo, ma dalla nostra area di rigore. Passata la mezz’ora troviamo la forza di fare qualche passetto in avanti, spostando il cuore del gioco al centro del campo. C’è più equilibrio, ma non creiamo niente di particolare. Nella ripresa stesso registro, fino al gol del Barca, arrivato al 60° per opera di Lewandowski.
È lo schiaffo che serviva; il Napoli non vuole l’imbarcata ma capisce che difendere l’1 a 0 lo consegnerebbe all’uscita del turno quasi sicura. E comincia ad osare. “Chi nun tene coraggio nun se cocca ch' 'e femmene belle” recita un antico adagio napoletano. Lo pensa Calzona in panchina e mette dentro Traorè e Lindstrøm in luogo di Cajuste e Kvaratskhelia. Scelta coraggiosa, per l’appunto, che si rivelerà azzeccata. Il Napoli prende coraggio e al 30°, con Raspadori e Simeone pronti ad entrare anche loro, arriva il gol di Osimhen. È 1-1. Non basta però il gol per evitare al nigeriano la sostituzione; Calzona ha le idee chiare. Il Napoli insiste e cerca anche il vantaggio, che non arriverà. Finisce 1-1 con la qualificazione ancora aperta. Sia ben chiaro, il Barcellona resta strafavorito e passare il turno sarebbe comunque un’impresa. Ma un’impresa possibile. Meno quotata ma possibile.