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editoriali

L’appagamento è il vero pericolo: che il Napoli sia ancora migliorabile è solo una gran fortuna

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Non esistono stagioni perfette, solo straordinarie. Il Napoli è stato efficace finché ha potuto, poi si è rilassato e paradossalmente ha perso leggerezza. Si fa sentire l'anno intero: sembra una squadra vuota di energie nelle gambe
Mattia Fele
Mattia Fele Editorialista 

Il Napoli perde non benissimo la classica gara di fine stagione, ad obiettivo centrato. Un po' come faceva la Juventus di Allegri negli anni scorsi, scarica e con lo Scudetto in tasca sempre da molte settimane prima dell'ultimo triplice fischio dell'anno. Palladino è di certo uno dei fautori della vittoria del Monza contro i campioni, capace di aver non solo costruito una squadra con idee sane ma anche di aver preparato con oculatezza la partita nei suoi dettagli: palleggio e transizione positiva quando possibile. Così i due gol a zero (uno di Petagna) che hanno rabbuiato il Napoli e forse dato dimostrazione che ci sono sempre componenti da migliorare anche in una stagione straordinaria. Imperfetta come tutte le cose, nonostante qualche giudizio volontariamente esagerato da parte di chi commenta in tv e sul web. La strategia del ti metto pressione per scovarti un difetto.

Alcune considerazioni

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Fare qualche osservazione di servizio nulla toglierebbe e nulla toglierà nel modo più assoluto all'anno del Napoli. In primis Spalletti ha scelto da agosto scorso - forse dal pareggio contro il Lecce a maggior ragione - di scegliere più o meno sempre gli uomini che sembrava gli dessero più certezze. Che conoscessero a menadito le distanze da tenere tra i reparti e che sapessero la mossa che avrebbe fatto di lì a poco il compagno. Ha costruito un undici che si muoveva come una fisarmonica tutto d'insieme, senza spezzarsi mai o rarissimamente. Anche quando la squadra magari avrebbe potuto svolgere una traccia diversa, ha preferito continuare sul proprio percorso e questo gli ha portato lo Scudetto. È incontrovertibile e soprattutto in-criticabile. È ovvio però che si tratti di una rosa con dei limiti: i ricambi non hanno mai dato abbastanza se non gli Elmas, i Lozano, gli Olivera. Meno bene chiunque altro: Ndombele, un non pervenuto Demme, anche Juan Jesus ha fatto sentire il distacco rispetto a Kim pur essendo veloce ed esperto. Bene solo quando al fianco del coreano, in assenza di Rrahmani. Poi ha fatto bene Simeone quando chiamato in causa a inizio stagione, meno bene nella seconda parte dell'anno. Insomma, tanto su queste ultime partite ha influito anche la scelta che poi ha permesso la vittoria del campionato: creare un'alchimia in campo totale tra i calciatori cosiddetti titolari dei 60 minuti. Osimhen e Kvara a parte, si è trovata poco la rete dagli altri giocatori offensivi. Tiri da fuori neanche l'ombra, e non può solo essere dipeso da Insigne (che l'anno scorso ha fatto il primo gol su azione dopo 8 mesi di calcio) e da Fabian Ruiz andati via. C'è sempre da imparare.

Per l'umiltà che contraddistingue il Napoli e Spalletti stesso, un buon insegnante può proprio essere il Monza di Palladino: l'allenatore napoletano scuola Juric e Gasperini è riuscito a sollevare dalle polveri della bassa classifica una squadra tutto sommato costruita con qualità, con un top player come Matteo Pessina a centrocampo e con un quinto veloce ed esplosivo come Carlos Augusto. Nel 3-4-2-1 c'è più modernità di quanto non si creda: è un po' il pensiero calcistico di Andrea Pirlo mai sviluppato alla Juve. Un po' la stessa proposta dell'Eintracht, o di Tuchel (fatte le dovute proporzioni). In poche parole, è tendenza. Spalletti ha fatto capire di studiare costantemente ciò che nel mondo del calcio continua a muoversi ed è questa la miglior garanzia che può dare alla sua società, che vuole tenerlo rinnovandogli il contratto con adeguamento (e fa bene, anche stavolta). Poco reggono invece i discorsi sullo Scudetto vinto e sulla festa: il Napoli è andato in campo non con la testa, ma coi piedi. Quei piedi hanno funzionato male tra loro, i reparti erano slacciati nelle ripartenze. Sono state prese sottogamba alcune situazioni di gioco. E Di Lorenzo è un problema per chi deve sostituirlo: Bereszynski sembrava un giocatore inesperto, invece è semplicemente uno che sta in panchina da 17 partite consecutive. Non è semplice entrare ed inquadrarsi. Poi che manchi un rigore grosso come il sole importa zero.

Inter, Bologna e Sampdoria sono i 9 punti che avvicinerebbero il Napoli a Sarri, superandolo di un solo punto. Sarebbe come ufficializzare che si tratti dell'annata migliore della storia del Napoli. Eppure, un filone di pensiero impone anche la considerazione del fatto che quell'annata lì resterebbe unica e comunque vincente proprio mantenendo quel record intaccato. Come a voler dire, si è vinto con meno punti, quindi è ancora più evidente che quella volta davvero non si poteva fare di più. Anche quel Napoli dopo il 3-0 a Firenze pareggiò contro il Torino per 2-2 e non espresse il massimo del suo calcio. Diversamente, il Napoli dell'anno scorso si perse ad aprile ma poi rifilò 9 gol a Sassuolo e Spezia nel mese di maggio. Questo Napoli qui sembra lontano dal secondo, più vicino al primo descritto. Il motivo? È impossibile in una stagione raccogliere ogni cosa: si può costruire un undici vincente e sperare che vada tutto bene negli episodi, ma è difficile vincere tutte le partite se poi si è costretti - a campionato finito - a dover dare spazio a chi non è mai stato preso in considerazione durante l'anno. Ancora, va sottolineato il fatto che l'anno prossimo sarà difficile vedere un secondo posto a soli 66 punti. L'anno scorso l'Inter era a due punti dal Milan e ha chiuso a 84, Juve e Lazio arriveranno lontane dagli 80. Quest'anno si prende e porta a casa, con la consapevolezza che non solo ci si può ripetere, si può fare decisamente meglio in più di un aspetto. Col sorriso.

A cura di Mattia Fele