"11 maschioni sudati che calciano un pallone..."
—Sorge, però, spontanea una domanda nelle menti di chi questo mondo non lo guarda con i nostri stessi occhi: "È normale tutto questo clamore per undici uomini che corrono dietro un pallone?" La mia risposta, pregna di orgoglio, è sì, decisamente. Perché è questa la vera essenza, non solo del "fútbol", come lo chiamerebbe qualcuno, ma dello sport in generale. Come una bolla indistruttibile nella quale, come spiegato dal buon vecchio "Nino", i grattacapi della vita vera volano via, trasportati dal vento della passione che trionfa, inevitabilmente. E dunque siam pronti, tutti in piedi con un interminabile brivido che ci attraversa la colonna vertebrale ad attendere il finale di serie. 4 maggio 2023: dopo un primo match point non sfruttato contro i cugini salernitani, si scende in campo ad Udine. L'undici titolare di quella sera è uno di quelli che ricorderai fino all'ultimo respiro emesso: In porta Alex Meret, nome aggiunto dalla Treccani tra i sinonimi della parola "rinascita". A difesa dell'area di rigore, la muraglia invalicabile eretta dal capitano, Giovanni Di Lorenzo, Kim Min-jae, Amir Rrahmani e Mathias Olivera. A centrocampo il giusto miscuglio tra follia ed intelligenza tattica formato da André-Frank Zambo Anguissa, Stanislav Lobotka e Tanguy Ndombele. Davanti la furia incontenibile di Eljif Elmas, Victor James Osimhen e Khvicha Kvaratskhelia. L'ansia è il sentimento regnante tra i tifosi ospiti, alimentata dal destro piazzato sotto l'incrocio di Sandi Lovric al 13' della prima frazione di gioco. Poi, al minuto 52, come un fulmine a ciel sereno, ci pensa il nigeriano con la numero 9 a scacciar via i fantasmi di un passato burrascoso che appare superato nel raggiante presente. Gli ultimi secondi di partita sono un'agonia interminabile, che si scioglie come neve al sole al triplice fischio del direttore di gara, per l'occasione Rosario Abisso.
"Sono le ore 22:37. Il Napoli è campione d'Italia per la terza volta nella sua storia". È la vittoria di un popolo, di chi non ha mai smesso di vedere la luce anche nell'oscurità più cupa. È la vittoria di chi assiste dall'alto, come l'entità divina alla quale è intitolato lo stadio di Fuorigrotta, che come al Mondiale in Messico dell'86 ci ha messo la mano, ancora una volta. È la vittoria degli eterni secondi, come l'uomo in panchina, Luciano Spalletti, la geniale mente dietro un capolavoro senza precedenti. Un uomo che ha preso per mano una realtà simile alla propria, perdente di natura, scegliendo di sfidare un Fatoavverso come pochi, in un atteggiamento titanico da fare invidia all'Alfieri più pessimista, uscendone con lo Scudetto cucito sul petto. È il 4 maggio del 2023 e Napoli, 33 anni dopo l'ultima volta, è nell'Olimpo dei grandi."Me' credevo ca murevo e 'stu juorno nun 'o vedevo...". Ed invece l'ho vissuto. E chi s'o scorda cchiù...
A cura di Alex Iozzi
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