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Mazzarri merita comprensione, la sua rabbia è grande quanto l’amore che ha per Napoli

Mazzarri merita comprensione, la sua rabbia è grande quanto l’amore che ha per Napoli - immagine 1
Il tecnico azzurro dopo dodici anni ha rivissuto l'incubo di Pechino in una finale di Supercoppa italiana
Sara Ghezzi

Il giorno dopo una finale persa è quello più difficile. Metabolizzare e ripartire dovrebbe essere l'input. Ma dirlo è molto più semplice che farlo. Gli azzurri hanno disputato 5 finali di Supercoppa italiana nella loro storia, due le hanno vinte, le altre tre perse. Ma tra queste sconfitte due hanno un sapore molto amaro, perché figlie non del gioco, non dei calciatori in campo, ma degli arbitri che hanno deciso di fare i fenomeni. In entrambi i casi sulla panchina partenopea c'era Mazzarri. Nel 2012 a Pechino contro la Juventus fu Mazzoleni a decidere che quel trofeo non poteva tingersi d'azzurro. Nel 2024 è stato Rapuano.

Una stagione maledetta, ma una finale

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Il Napoli nonostante la stagione maledetta, le assenze da brivido, la forma fisica non eccellente ha tenuto la meravigliosa Inter imbattibile anche per le top europee sullo 0 a 0 fino al 91' minuto e in 10 uomini. Una squadra stoica che per la prima volta è sembrata a immagine e somiglianza di Walter. Cuore, grinta e voglia di spaccare il mondo. Vedere il mister sulla panchina è stato un reale spettacolo. Quella passione che piace ai napoletani che lo amano incondizionatamente perché infondo è lui che per primo ha iniziato a rendere grande questa società rinata dalla macerie. La sua rabbia, la sua frustrazione nel rivivere quel maledetto 11 agosto del 2012 è stata la rabbia di tutti i napoletani. Coloro che hanno sentito nuovamente addosso la sensazione di essere impotenti di fronte a determinate situazioni. In molti non hanno apprezzato la sua scelta di non presenziare alla premiazione. Ma nessuno dall'alto della sua grandiosità morale si è posto il problema di mettersi nei panni dell'uomo Walter.


Mazzarriha 62 anni, da circa due era fuori dai giochi, vuoi per scelta sua, vuoi per le poche chiamate, si ritrova a sedere a tempo determinato sulla panchina dei campioni d'Italia che non brillano più, non sorridono più. Per giunta quella è la panchina della squadra in cui è diventato grande e da cui ha scelto di separarsi nel momento più bello, pentendosene amaramente, ma nonostante tutto, l'amore di questa gente non l'ha mai perso. Dicevamo, un uomo di 62 anni, probabilmente alla sua ultima grande opportunità, prova a far risorgere una squadra depressa, spenta, e subito deve affrontare il ciclo della morte. Un big match dietro l'altro, i risultati non arrivano ma almeno il gioco si rivede. Un modulo non pienamente suo, dei giocatori che ad un certo punto ti tradiscono scegliendo di camminare invece di giocare.

Il cambio modulo la svolta, ma le assenze e Rapuano fermano gli azzurri

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Poi improvvisamente li convinci a giocare diversamente, vinci il derby al 96', conquisti la finale della Supercoppa con Anguissa e Osimhen in coppa d'Africa, Meret, Olivera, Demme e Natan infortunati, Zielinski praticamente fuori rosa, Elmas ceduto. Ma nonostante ciò giochi quella finale a muso duro con la magnifica squadra di Inzaghi, dandole poche opportunità. Ad un certo punto però vedi che un arbitro, non considerato tra i migliori e alla sua prima finale, estrae un cartellino rosso verso Simeone dopo che per buona parte del match hai visto i tuoi cadere come birilli con i nerazzurri impuniti, allora rivedi quei fantasmi. Walter sognava di riscattare quanto gli è stato ingiustamente tolto. Sognava di andare via a giugno, ma con un trofeo. Sognava di potersi rilanciare e magari sperare in una chiamata di De Laurentiis per continuare ancora insieme, ma al 91' Lautaro ha infranto i suoi sogni, già in parte indeboliti da Rapuano.

La morale lasci spazio all'empatia

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Allora è comprensibile il suo lasciare il campo.  Il suo pensare, è sempre la stessa storia. Il suo dover rinunciare ad un trionfo, forse l'ultimo della sua carriera. È comprensibile la sua poca voglia di andare a ritirare quella medaglia, che va onorata, ma consegnata da chi quel calcio sta contribuendo a rovinarlo. Per questo Mazzarri merita comprensione. Perché l'alta moralità di chi commenta e si erge a giudice supremo a volte è ipocrisia. Quest'oggi mentre si prova a metabolizzare la delusione si pensi un po' a Walter che per una volta non ci ha messo la faccia, perché magari la rabbia era troppo grande, quasi quanto l'amore che ha per il Napoli e quello che i napoletani hanno per lui.

A cura di Sara Ghezzi

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