calcionapoli1926 editoriali Come Federer per il tennis e Kubrick per il cinema: Maradona, l’emblema della semplicità nel calcio

editoriali

Come Federer per il tennis e Kubrick per il cinema: Maradona, l’emblema della semplicità nel calcio

Alex Iozzi
Far sembrare facile lo sport più bello mai inventato: a lezione da "El mas grande" nel 5° anniversario della sua morte

Il 25 novembre, da qualche tempo, è una data che ha ottenuto una propria sacralitànel grande calendario della stagione sportiva: cinque anni fa esatti, ci lasciava "sua maestà" Diego Armando Maradona. Una giornata ormai divenuta una celebrazionepiù che un ricordo funebre, specialmente in quel di Napoli; 24 ore in cui si compie l'opera più saggia: rendere omaggio all'uomo e, soprattutto, al calciatore quale "El Pibe de Oro" è stato. Tuttavia, invece di menzionare tematiche già ampiamente trattate da altri colleghi come l'esser stato un simbolo di rivoluzione sia per l'Argentina che per Partenope, è giusto porre l'attenzione su un aspetto che troppo spesso, purtroppo, passa in secondo piano: la capacità innata di Diego nel rendere semplice l'arte del pallone.

Come un rovescio di Federer o un'inquadratura di Kubrick: perché Maradona era (ed è ancora) l'incarnazione del "Beautiful Game"

—  

"Fa delle cose che gli altri possono soltanto immaginare": questo il commento tipico di Paolo Bertolucci, ex tennista italiano, oggi telecronista presso Sky Sport, con cui accompagnava le magie che Roger Federer produceva racchetta alla mano. E francamente dargli torto sarebbe oggettivamente errato: un giocatore in grado di colpire il rovescio a una mano, talvolta in controbalzo, oppure di accarezzare la pallina e beffare l'avversario tramite un drop shot con l'eleganza dello svizzero, senza trasmettere alcuna difficoltà o sforzo fisico, non è mai esistito e, probabilmente, non ne nascerà uno in futuro. Considerazione che, in ambito cinematografico, potremmo formulare facendo riferimento alla figura di Stanley Kubrick: per replicare il senso di claustrofobia che trasmettono le inquadrature di "Shining", la potente inquietudine emanata dal contrasto tra la brutalità della violenza e la bellezza della musica classica in "Arancia Meccanica" e la perfezione degli effetti speciali di "2001: Odissea nello Spazio", bisognerebbe unicamente clonare il DNA del compianto cineasta di New York.

All'appello, per elencarne un altro paio, mancano personaggi del calibro di Michael Jordan e Valentino Rossi, autori (tra le tante gesta) rispettivamente di un salto dalla linea del tiro libero pari a 4 metri e 57 centimetri nell'All-Star Game NBA del febbraio 1988 e di un sorpasso che sfida la scienza ai danni di Jorge Lorenzo durante il Gran Premio di Catalogna del 2009, ma se nominassimo un candidato per ogni disciplina artistica, faremmo notte.

Il sunto del discorso, non volendo tirarla per le lunghe, è racchiuso nella frase che segue: come ha fatto sembrare facileil gioco del calcio Maradona, nessuno né prima né dopo (a essere onesti, Lionel Messi escluso). La punizione da dentro l'area di rigore siglata contro l'odiata Juventus a marzo del 1985 rappresenta una prodezza balistica inimitabile, così come il pallonetto da 30 metri in caduta e la rete messa a referto direttamente da corner con cui ha punito la Lazio il mese precedente; eppure, riavvolgendo il nastro delle cassette d'epoca, il pensiero che certi lampi di genio siano alla portata di tutti ci sfiora inconsciamente il cervello. È il potere di chi incarna l'essenza del "Beautiful Game", appellativo coniato dagli inglesi, i quali Diego, ironia della sorte, lo conoscono molto bene. L'aura, per adoperare una terminologia moderna, di colui che, seppur non calchi da diversi decenni il rettangolo verde, continua a far sprofondare gli individui del mondo intero in una condizione d'amore sincero nei confronti di uno sport dove 22 cristiani rincorrono una sfera. In sei basilari parole, insegnateci dai 'fratelli' argentini: "Diego, el mas grande de todos".


A cura di Alex Iozzi

© RIPRODUZIONE RISERVATA