All'appello, per elencarne un altro paio, mancano personaggi del calibro di Michael Jordan e Valentino Rossi, autori (tra le tante gesta) rispettivamente di un salto dalla linea del tiro libero pari a 4 metri e 57 centimetri nell'All-Star Game NBA del febbraio 1988 e di un sorpasso che sfida la scienza ai danni di Jorge Lorenzo durante il Gran Premio di Catalogna del 2009, ma se nominassimo un candidato per ogni disciplina artistica, faremmo notte.
Il sunto del discorso, non volendo tirarla per le lunghe, è racchiuso nella frase che segue: come ha fatto sembrare facileil gioco del calcio Maradona, nessuno né prima né dopo (a essere onesti, Lionel Messi escluso). La punizione da dentro l'area di rigore siglata contro l'odiata Juventus a marzo del 1985 rappresenta una prodezza balistica inimitabile, così come il pallonetto da 30 metri in caduta e la rete messa a referto direttamente da corner con cui ha punito la Lazio il mese precedente; eppure, riavvolgendo il nastro delle cassette d'epoca, il pensiero che certi lampi di genio siano alla portata di tutti ci sfiora inconsciamente il cervello. È il potere di chi incarna l'essenza del "Beautiful Game", appellativo coniato dagli inglesi, i quali Diego, ironia della sorte, lo conoscono molto bene. L'aura, per adoperare una terminologia moderna, di colui che, seppur non calchi da diversi decenni il rettangolo verde, continua a far sprofondare gli individui del mondo intero in una condizione d'amore sincero nei confronti di uno sport dove 22 cristiani rincorrono una sfera. In sei basilari parole, insegnateci dai 'fratelli' argentini: "Diego, el mas grande de todos".
A cura di Alex Iozzi
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