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editoriali

«Il paradosso dell’amore vero: abbiamo sofferto meno quando siamo stati traditi»

koulibaly
L'amore è un verbo che si coniuga al presente: Kalidou lo sa

Giovanni Ibello

Stavolta fa male sul serio. Perdere il ministro della difesa ci fa capitolare in una smisurata angoscia. L'addio di Koulibaly dialoga con le nostre paure, ci consegna al dio delle incertezze, ai mostri che abbiamo dentro, per dirla con il genio di Giorgio Gaber. Senza Kalidou siamo fragili e perennemente esposti al contropiede della vita. In altre parole, siamo tornati bambini. Siamo al mare e abbiamo perso l'orientamento. Abbacinati dal sole dell'estate, vaghiamo sul bagnasciuga. Cerchiamo mamma e papà. Siamo disperati, siamo soli.

«Avrebbe fatto meno male se fosse stato un tradimento»

Koulibaly

Chi vi scrive, all'alba dei suoi 33 anni, non fatica ad ammettere che è assai più facile metabolizzare l'addio di un attaccante. Perdere un difensore  - un difensore come Koulibaly, s'intende - ci porta a fare riflessioni più profonde sulle nostre fragilità (se il calcio e il Napoli sono parte del quotidiano). Impossibile non pensare a un piccolo capolavoro del partenopeo Giovanni Truppi che in "Amici nello spazio" canta: "Io non me li aspettavo tutti questi addii. Pensavo che ogni cosa che amavo poi rimaneva mia. Però pensavo male e il fatto è che non c'è una regola o una morale da ricavare". Si fa presto a dire solo la maglia, il diktat di ogni tifoso che si rispetti. La verità - anche se può sembrare una sorta di bestemmia - è che Kalidou e il Napoli hanno un rapporto simbiotico al di là dalla casacca azzurra. Perdonerete l'insopportabile retorica che segue, ma Kalidou è Napoli, Kalidou è il Senegal, Kalidou è il gran visir dell'Impero: è il Sud che prova a fare il mondo un un poco più giusto.

Sapete perché fa così male? Perché non è stato un tradimento. Ci abbiamo messo un paio di mesi ad archiviare la pratica Higuain. Sì, d'accordo, non è stato facile digerire il suo passaggio agli odiati rivali della Juventus. Ma perché rimpiangere uno che striscia nella notte dopo aver detto ai napoletani di "stare tranquilli"... E che dire del fratello manager? Non so se vi ricordate di quest'individuo. Stiamo parlando di Nicolas, quello che "latrava" contro il potere sabaudoe che si fece tatuare un Pulcinella sul fianco. Il suo omaggio a Napoli, così diceva...  Ecco, non vogliamo essere spietati, ma Kalidou non ha mai avuto bisogno di certe olezzose ruffianerie.

L'amore è un verbo che si coniuga al presente: Kalidou lo sa

koulibaly

Kalidou ha sempre saputo che l'amore è un verbo che si coniuga al presente. Che si dimostra con i fatti. Se Spalletti veramente temeva un attacco al calciatore da parte del popolo azzurro significa che ha capito ben poco della piazza. Non è stato un tradimento e forse, proprio per questo, fa ancora più male. Nessuno potrà mai mettere alla sbarra Koulibaly per la sua legittima ambizione. Negli ultimi dieci anni il Napoli ha dimostrato di saper competere ad alti livelli, ma non è mai stato capace di lottare veramente per la vittoria. E anno dopo anno, pur essendo uno dei migliori difensori del mondo, Koulibaly ha rinnovato il suo patto di sangue con la città, il suo (il nostro) "sogno nel cuore".  Poteva abdicare nel 2018, poteva andare via e prendersi sin da subito (COME AVREBBE FATTO CHIUNQUE) l'eldorado del grande calcio.  Forse non ci rendiamo conto che Kalidou ha un talento smisurato, che è un top del suo ruolo (perdonerete la ridondanza). Che alla maglia azzurra ha dedicato gli anni migliori della sua carriera. E' agghiacciante chiedersi se, in qualche misura, non li abbia sprecati.

«Me vene a chiagnere, ma in cuor mio so che è giusto così»

Kalidou voleva, con pervicacia, vincere lo scudetto con la maglia del Napoli: voleva fare la storia, ma non c'è riuscito. L'ha solo sfiorata. E non prendiamoci in giro, esiste una poetica del quasi che ci commuove. In "Quell'andarsene nel buio dei cortili" il poeta Milo De Angelis scrive: "Non ho saputo capire /  non so ancora / se l’incrocio dei pali / è legno o leggenda". Ecco, ragioniamo per analogia. Kalidou è leggenda anche se ha solo sfiorato la gloria.  Chiudiamo questo "testamento spirituale" con il commento di un tifoso sui social. Una frase semplice semplice, ma che però dice tutto: "Me vene a chiagnere, ma in cuor mio so che è giusto così".

 A cura di Giovanni Ibello