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editoriali

Napoli, l’Inter sceglie il copione: azzurri al Meazza in cerca d’autore

Emanuela Castelli

Ora, si esca dal dramma e si torni alla vita.

Il Napoli visto ieri al Meazza contro l'Inter ha infilato dentro la partita attesa spasmodicamente da 53 giorni la prestazione più scialba dell'anno. Lenti e, quel che più preoccupa, privi di idee. Così sono parsi gli azzurri, protagonisti di un copione scritto e diretto da Simone Inzaghi. E il Napoli ci finisce dentro, quel copione, senza mai riuscire ad uscirne, senza mai sottrarsi alle battute (d'arresto) cui quel copione li aveva sapientemente consegnati. "E dov'è il copione? È in noi, signore. Il dramma è in noi; siamo noi; e siamo impazienti di rappresentarlo, così come dentro ci urge la passione!"

Inter-Napoli la vince Inzaghi

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Sì, perché la palma del migliore ieri sera se l'è aggiudicata proprio lui, il tecnico nerazzurro, che l'ha pensata bene fin dal principio, consegnando le chiavi del gioco al Napoli per poi affondare sulle ripartenze. Azzurri colpiti e affondati, sconfitti meritatamente a margine di un match in cui sono apparsi scialbi e decisamente poco incisivi. Ma è davvero il caso di fare drammi? Se guardiamo alla classifica, si potrebbe azzardare un "no" secco: il Napoli resta lassù, tra le nuvole e il cielo, a guardare le altre che si avvicinano, certo, ma restano comunque abbastanza distanti da non sentirne il fiato sul collo. A destare qualche preoccupazione interviene la prestazione degli azzurri: troppo smarriti per essere davvero loro, con troppo poca personalità per essere quelli delle 15 partite senza sconfitte visti nella prima parte di stagione. "Oh, signore, lei sa bene che la vita è piena d'infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere". E così, si sprecano i commenti disfattisti a mezzo social: "Il Napoli s'è perso, è finita la magia". Prima invincibili, ora brocchi. Come se non fosse ammissibile perdere contro l'Inter. Al Meazza. Come se la storia non dicesse che lì, i panettoni sono rimasti sempre sullo stomaco ai partenopei, indigesti, pesantissimi. Come se una partita pensata male e giocata peggio fosse sentenza ineluttabile di morte calcistica di una squadra che, fino allo scorso match utile, ci ha fatto sognare. "Un fatto è come un sacco: vuoto, non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato": la sconfitta è un fatto, certo. Ma va contestualizzata, ficcata dentro a una storia, a cui rivendica e chiede di appartenere. E la storia parla di un'Inter che DOVEVA vincerla, di un Napoli che POTEVA non vincerla senza finire nel baratro della perdita d'identità. Nessuna scusa ma anche nessun dramma: i canti funebri si rimandino a quando (e se!) sarà il caso. Perdere un match ci sta, perdere la ragione no. Manteniamoci saldi: un accenno di tempesta è arrivato, ma ha solo sfiorato gli azzurri, facendo meno danni possibili. Ora si riparta da qui, con il timone ben saldo tra le mani. La rotta è chiara, l'obiettivo ancora lontano: ventidue tappe ancora da visitare, prima di restare lassù, tra cielo e nuvole, per sempre.