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editoriali

Che vada o venga, Lorenzo resterà un capitano senza tempo

Mattia Fele

Non capita tutti i giorni di assistere ad un destro al volo che schianta un luogo comune. Così Insigne ha deciso di azzittire malamente chi lo voleva distratto dalle questioni contrattuali. Il futuro non conta: Lorenzo va oltre ogni categoria

Con un gol da cineteca - e di controbalzo - Lorenzo Insigne ha dato un calcio alle patetiche "riflessioni" danzanti attorno all'ambiente napoletano. Così, di prima sul velluto e con una furia devastante ha sbloccato una gara che stava per diventare impossibile. Così, subito dopo un palo di Emreli dalla parte opposta, il Capitano ha deciso di essere bussola di una squadra già immensa, all'arrembaggio contro le (tante) difficoltà che per sua natura normalmente attirerà - direbbe Battiato. Insigne non ha solo retto come Atlante sulle spalle il suo Napoli: se n'è preso Cura.

Ogni cosa ha il suo tempo

Il primo goal di Insigne su azione è liberatorio: è un vento che spiffera forte e poi sussurra ai detrattori che no, non c'entra il contratto. No, la testa non è altrove. La testa - e i piedi, aggiungerei - sono ben saldi sull'erba che masticano e creano il solito turbinio di giocate superbe. Eppure è da settimane che si tenta invano di trovare il nodo per vederlo lontano da Napoli, una città in cui Lorenzo è diventato uomo e professionista, che lo ha preso e lo ha sgusciato di tutte le sue asperità, anche quelle più immature e resistenti. Nessuno lo avrebbe detto, ma ad oggi è Capitano della squadra più importante del Sud Italia con fierezza, non si fa tentare ed ostacolare da niente. Da ciò dichiarazioni come "Sono pronto a calciare un altro rigore"; "Il mio agente sta parlando con la società, ma io ho chiesto di esser lasciato sereno. Voglio pensare al campo, è un anno importante per il Napoli".

Che ci sia il profumo dell'annata da ricordare è una sensazione condivisa e palpabile, perché noi un po' siamo così: viviamo di quei sentimentalismi e di quelle sensibilità che arrivano prima ai nostri nervi che alle nostre menti; siamo attenti a ciò che la natura ci offre come percezioni e molto meno agli arzigogolii pedanti di chi fa un po' più l'illuminista. Piuttosto noi ci dedichiamo all'oggi e al piacere di un gol a due dita dal palo, di un collettivo pronto ad essere memorabile. Per tutta la vita.

Così non importa che Lorenzo firmi (ma è comunque molto probabile, ndr) o che voglia aria diversa: conta l'abbraccio dato alla sua Napoli con tutto il calore che al momento possiede. Con il giro giusto dato ad un destro fulminante, sotto la traversa di Miszta. Così il Legia torna in Polonia imbottito negli occhi da qualità impressionanti, dalle intense trame di Mertens, Elmas, Fabian, Politano e dagli ingressi ai fianchi della difesa di Lozano. Dai tagli di Di Lorenzo ai movimenti senza palla di Demme e Anguissa. E forse prima o poi qualcuno capirà che il calcio-catenaccio non è più televisivo, non è più appetibile, non è divertente per chi lo gioca. È cerebralmente morto.

Il silenzio e la pazienza

Non smette di recitare Spalletti che una squadra prende forma dei comportamenti del suo leader assoluto, e se questo fosse vero saremmo dinanzi ad un grande trascinatore. Lorenzo ha praticato il silenzio e la pazienza, così in partita come nel discorso sul suo futuro. Si è preso Cura della sua città e del suo presente, come è abituato a fare in famiglia e con la sua volontà. Ha vinto un Campionato Europeo da vero protagonista - seppur in sordina, perché fa più audience parlare di Federico Chiesa -, è la mente offensiva della Nazionale e ha la numero 10 di Totti sulla schiena. Come Totti è Re in una città difficile e troppo grande, che ti stringe e ti porta in braccio fino a volare di ali proprie, a brillare di intensa luce. Nessuno negli ultimi dieci anni - forse neanche Marek Hamsik - ha mostrato questa passione e ha sudato questo sudore per questa maglia troppo bistrattata, gustata dai più come trampolino e non com'ultimo approdo. Insigne ha scelto di farne parte della sua pelle e ha pianto dopo una Supercoppa, ha urlato dopo un rigore concesso a Sassuolo al 94'. Ha vissuto come un'eruzione un gol al Santiago Bernabeu nel 2016-17. Ed è per questo che fischia e applaude la città: non solo perché è una figura che divide (come ogni leader ndr), ma perché sta al cuore di Napoli come le radici stanno ad un vecchio albero che regge una foresta. Vincere non è che una banale conseguenza.

A cura di Mattia Fele 

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