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editoriali

La via del gol è un miraggio: ‘e quanto ce servesse un comme ‘e Cavani là ‘nnanze

Cavani Napoli
E pure Mazzarri, quanto vulesse schierà n'ata vota "'o Matador suio"
Alex Iozzi

"E si chest nunn'e' ammore, ma nuje che campamme a ffa'?", cantava sulle note di una dolce melodia il compianto Pino Daniele. "E se non esistesse l'amore, perché mai dovremmo continuare a vivere?", aggiunge il sottoscritto. Perché il grande pregio dell'amore è questo: farci sentire vivi. Un sentimento spontaneo, genuino, unico. Lo definirei imparagonabile, errato da mettere a confronto con qualsiasi altra banale sensazione terrena. Roberto Benigni, in uno di quei suoi interminabili monologhi, la definirebbe come la forza motrice delle nostre esistenze. Difficile da prevenire, impossibile da prevedere, un'impresa ancor più ardua cercare di controllarne l'andamento e cambiarne le scelte. Perché l'amore è un po' come il Fato, un'entità priva di forma che regola quei meccanismi che permettono all'umanità di sopravvivere. E noi come delle marionette attaccate ad una serie di fili trasparenti guidate da una burattinaia alquanto perfida. Noi che tentiamo di ribellarci, fallendo una volta sì e l'altra pure e l'altra dopo ancora.

"'O primmo ammore m'ha fatto cchiù male...

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Quante volte a bassa voce, di fronte ad uno specchio, esclamiamo: "Non mi affezionerò più a nessuno!"; e poi ricadiamo dentro al tunnel. E poi ci sono quegli appellativi, del tipo "cuore di ghiaccio", usati con la più totale ingenuità non capendo - o forse facendo finta - che oltre la spiegazione fisica ve n'è una filosofica dietro l'erroneità di tale concetto. Perché anche la più dura delle anime presenta un punto debole, un qualcuno a cui ha voluto bene più di quanto ne abbia mai provato per se stesso. Quel qualcuno la cui sola vista provoca lo scioglimento dei ghiacciai rifugiati all'interno della propria gabbia toracica. C'è, infine, una figura che rimane indelebile nella nostra memoria, motivo scatenante di un brivido ogni qualvolta ci si ripresenta davanti agli occhi: il primo amore.


La prima volta è sempre così: non sai mai cosa aspettarti. Da questa, però, ne esci cambiato - appunto - per sempre. Perché entri in contatto con un istinto diverso da quello che il tuo corpo da infante ha sempre pensato di poter recepire. Ti ricordi il volto, la sua voce a distanza di anni, momenti passati mano nella mano rischiando di trasformarti in un peperone ottimo per farcire una pizza, oppure un panino, anche solo nei sogni più reconditi. Tutte cose che non dimenticherai mai, che ti porterai dentro durante la crescita. Perché chi ha amato davvero permetterà all'altro di scavare un solco profondo nel proprio spirito. Magari questa legge non scritta non varrà per tutti, ma io del mio primo amore ricordo tutto.

Il mio primo amore aveva i capelli lunghi, indossava un cerchietto, portava sulle spalle il peso della numero 7 e ogni maledetta domenica faceva irruzione nelle proprietà private delle retroguardie avversarie senza neanche chiedere il permesso. Ricordo persino il giorno del primo appuntamento: 9 gennaio 2011, più di un decennio fa. Un cannibale d'area di rigore annientava da solo una Juventus allo sbando con tre colpi di testa da vero bomber di razza. Piango anche solo a raccontare tale esperienza. Nostalgia canaglia. Le stesse lacrime che avrei poi versato dalla gioia durante l'estate dello stesso anno, il 24 luglio, quando con la Celeste avrebbe riportato a casa una Copa America che mancava da ben sedici anni. Durante quella spedizione non era nelle migliori condizioni, infortunato al ginocchio a causa di un brutto intervento di gioco, ma rimaneva comunque il più forte di tutti.

...ma quanto m'ha fatto stà bbuon"

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Ciò che lo rendeva speciale ai miei occhi era quanto di più bello si possa desiderare da una relazione: riusciva a farmi sognare, a farmi volare con la mente verso posti inesplorati e del tutto fittizi, frutto della mia fantasia fanciullesca. Riusciva a farmi sentire invincibile, perché al suo fianco non sarei potuto uscire sconfitto dalle mie battaglie. Mi faceva sentire come lui: inscalfibile, capace di compiere le imprese più disparate, le rimonte da lasciare il tifoso a bocca aperta marchio di fabbrica di un'epoca d'oro nell'ottica di colui che sta componendo questo articolo. Le trasferte nel Centro-Nord Italia, i viaggi in giro per l'Europa, e man mano ogni città finiva sotto il suo dominio, inarrestabile per qualunque accenno di vita umana. E poi quella finale di Roma, quel 20 maggio del 2012, l'emozione più forte vissuta insieme, il simbolo di una città che stava pian piano tornando nel posto che gli compete dopo anni di buio.

Fino ad arrivare alla separazione, quel tragico pomeriggio di metà luglio, che ancora una volta compare quando si parla di date storiche. Quel passaggio in Francia, quel trasferimento all'ombra della Torre Eiffel che non potevo sopportare, perché era come se avessi perduto una parte di me, se non tutto. Ero troppo piccolo per seguirlo, e fummo costretti a percorrere strade opposte, a malincuore. Anzi, con il cuore a pezzi. Ogni ferità, però, trova sempre il modo per guarire e, passata la delusione, avrei ricominciato ad esultare ad ogni sua marcatura anche se non realizzata con indosso i colori del mio popolo. Sapete, per concludere, cos'altro non ho mai dimenticato? La data del suo compleanno. Caso vuole che coincida con il giorno di San Valentino: il 14 febbraio. E da diciannove anni a questa parte, è così che mi piace celebrare la festa degli innamorati. Perché quando mi chiedono: "Alex, che cosa cade il 14 febbraio?", la mia risposta, prontamente, è sempre la stessa: "'O compleanno 'e Cavani".

A cura di Alex Iozzi

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