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Calzona non sia un Giuntoli-bis: il patron abbandoni la captatio benevolentiae

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"Ma quello è juventino": e a noi cosa importa?
Emanuela Castelli
Emanuela Castelli Giornalista 

Francesco Calzona non ha neanche fatto in tempo ad insediarsi sulla panchina del Napoli, finalmente come primo allenatore dopo il triennio vissuto come secondo di Sarri e il primo anno di Spalletti in azzurro in qualità di collaboratore tecnico, che già è partita una mezza macchina del fango sul tecnico di Vibo Valentia. Il motivo? Stando alle dichiarazioni di un vecchio amico, tiferebbe Juventus. Oibò, lesa maestà per quanti ancora pensano - non si sa in base a quale principio di logica o di morale - che qualsiasi professionista venga a Napoli debba tifare Napoli fin dal suo primo vagito. Teoria bislacca, o quantomeno provinciale, per una realtà in costante crescita, qual è quella del Napoli calcio.

A volte sembra che, tra i requisiti del professionista di turno candidato a trasferirsi all'ombra del Vesuvio in qualsivoglia ruolo, debba figurare necessariamente la fede azzurra, rigorosamente. Guai se vien fuori che costui tifi Milan, Roma o Inter, peggio che mai se questi si sia macchiato dell'orribile colpa di tifare Juventus.


Questo ragionamento può venire - più o meno comprensibilmente - dal tifoso, che vive di emozioni, ed affronta la questione calcio con l'ardore puro della passione, ma stupisce che possa venire da chi fa informazione, o addirittura da chi gestisce una squadra di calcio.

Sì, perché questo ragionamento, a nostro parere bislacco e poco sensato, è stato a più riprese nutrito dallo stesso patron del Napoli, Aurelio De Laurentiis: l'ultima uscita in tal senso coincide proprio con l'ultima conferenza stampa indetta dal numero uno della Società partenopea, un mercoledì di un paio di settimane fa.

Nel ripercorrere i sanguinosi addii della scorsa estate, infatti, il patron azzurro - in una sorta di inauspicata ed inauspicabile captatiobenevolentiae, venuta su un po' zoppicante - ha fatto riferimento a quello dell'ex DS del Napoli, tale Cristiano Giuntoli, passato allegramente proprio all'odiata Juventus, di cui è venuto fuori - come fulmine a ciel sereno - fosse tifoso fin da bambino. Ora, che la demolizione dell'immagine di un tesserato uscente dalla SSCN non sia una novità è fatto noto, basti guardare alla strettissima attualità in casa Napoli, che rimanda a tutti l'immagine - triste e disarmante - dell'esclusione di un certo Piotr Zielinski dalla lista Champions, soltanto perché reo di non aver accettato il rinnovo col Napoli e di aver ipotecato il suo passaggio all'Inter. Ma ci chiediamo se sia giusto, onorevole e sano demolire chi ha fatto la storia del Napoli, contribuendo a scriverne capitoli di straordinaria bellezza, con motivazioni che attengono alla "pancia" e non alla "testa", dalla quale dovrebbero partire le scelte, la comunicazione, la gestione di una Società che fattura milioni di euro, e che lo fa anche in modo egregio.

Sì, Giuntoli era juventino, ma alzi la mano chi "se ne era accorto": Cristiano Giuntoli ha lavorato per otto lunghissimi anni al fianco di Aurelio De Laurentiis - cosa che pare non semplicissima, stando alle tante voci che circolano da anni  nell'ambiente e alla battuta di Luciano Spalletti su film horror capaci di riservare sempre ulteriori capitoli terrorizzanti. Ha lavorato per otto lunghi anni al servizio della Società Sportiva Calcio Napoli, contribuendo in maniera significativa non solo al successo della passata stagione ma anche alla crescita costante della competitività della squadra e della Società stessa negli ultimi anni.

Adesso, speriamo non tocchi a Calzona, il quale ha ereditato una panchina che definire bollente è finanche riduttivo rispetto alla terribile stagione iniziata ad agosto e proseguita in caduta libera fino ad oggi. Speriamo che, qualora il tecnico di Vibo Valentia non riuscisse a "fare il miracolo", non toccherà a lui sentirsi dire che "Se avessi saputo che tifava Juventus non lo avrei mai preso".

Magari De Laurentiis avrà avuto un "mancamento" dinanzi alle dichiarazioni dell'amico di Francesco. Magari si sarà affrettato a telefonargli, per informarsi sulla fede calcistica del nuovo tecnico partenopeo. O magari lo sapeva già, così come avrebbe potuto conoscere serenamente la fede bianconera di Cristiano Giuntoli. E questo, ci sembra, sarebbe la cosa più normale e saggia in un mondo come quello del calcio, che di "normalità" e "saggezza" avrebbe un vitale bisogno. Perché non conta per quale club i professionisti del Calcio Napoli tifino o tifassero da bambini: conta che diano il 100% alla società per cui lavorano, che sia il Napoli, l'Empoli o la Sambenedettese. E questo, ci pare, non è in discussione: non lo è stato per Cristiano Giuntoli, e non lo sarà per Francesco Calzona. Che merita tutto il nostro appoggio ed apprezzamento per aver avuto il coraggio e la salda ambizione di guidare una squadra a cui è legato da quattro anni di proficua collaborazione e che ha raccolto in una situazione assai prossima alla disperazione. E non certo per responsabilità dell'ex juventino di turno.

A cura di Emanuela Castelli

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