La panchina può attendere, in tutti i sensi. Daniele De Rossi non è ancora un allenatore, anche se si comporta «da portavoce del mister in campo», e non è ancora neppure una riserva che meriti di stare seduta a guardare gli altri. Per questo, ginocchio permettendo, la Roma gli rinnoverà di un altro anno il contratto. Non c’è solo un aspetto simbolico e romantico a guidare la strategia della società ma anche e soprattutto una valutazione tecnica: con De Rossi la Roma è più forte.
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De Rossi si dà un anno in più
La panchina può attendere, in tutti i sensi. Daniele De Rossi non è ancora un allenatore, anche se si comporta «da portavoce del mister in campo», e non è ancora neppure una riserva che meriti di stare seduta a...
LA ROMA VUOLE TENERE ZANIOLO, ECCO COME
ESAME - Si è visto a Genova, quando ha segnato il gol della speranza Champions e nel finale ha tenuto i compagni aggrappati al risultato tra tackle ardimentosi e falli guadagnati. Ma lo spiegano più freddamente i numeri del campionato: De Rossi fin qui ha giocato la metà delle partite, 16 su 31, ottenendo una media di 1,8 punti con una percentuale di vittorie del 50%. Senza il capitano, la media della Roma scende a 1,5 con il 40% di vittorie. Se Ranieri lo chiama «il condottiero», ricordandone le doti di leader anche nel primo percorso condiviso a Trigoria, evidentemente sa di cosa parla.
SCINTILLE FERRERO-TIFOSO
TERZA VOLTA - Del resto la situazione di incertezza, con conclusione ogni volta positiva, si ripete puntualmente nell’ultima stagione di contratto. De Rossi fece penare la Roma nel 2012, decidendo di firmare il rinnovo che lo rese il giocatore più ricco del campionato con i suoi 6,5 milioni netti di stipendio. Scelse di rimanere dopo essersi quasi accordato con Roberto Mancini per un trasferimento al Manchester City. «Non ce la faccio, nun me regge...» disse in un’accorata telefonata di retromarcia. Due anni fa, il discorso fu leggermente diverso. De Rossi era tentato da un’esperienza in un Paese lontano, Stati Uniti o Argentina, e si prese un po’ di tempo per dare una risposta a Baldissoni, uno dei suoi punti di riferimento nella Roma. Poi però ruppe gli indugi e firmò un biennale da circa 3 milioni netti. Ora invece il problema è essenzialmente di natura fisica, «perché non mi sento di rubare lo stipendio e voglio giocare solo se penso di essere ancora un calciatore importante». La notte di Genova può essere la spinta definitiva verso il prolungamento dell’attività di calciatore.
POI - Il dopo comunque a Trigoria è pronto. De Rossi ha un ottimo rapporto con Pallotta, con il quale dialoga in un impeccabile inglese, e dai dirigenti è considerato «uno di famiglia». Non bisogna dimenticare che nella Roma lavora da molti anni anche il padre Alberto, una specie di Alex Ferguson della Primavera. Una volta che concorderà con la società l’uscita dal campo, potrà facilmente trovare un lavoro nei quadri del club. Probabilmente si iscriverà immediatamente al master di Coverciano per prendere il patentino di allenatore, con la strada agevolata che per regolamento spetta di diritto ai calciatori campioni del mondo, e nel frattempo potrebbe affinare le armi del mestiere a contatto con lo staff tecnico della prima squadra. Non che ne abbia bisogno: come tanti altri centrocampisti, ha sempre visto le partite con l’intelligenza di un predestinato. Al di là dell’aspetto emotivo, non sarà traumatico lo switch dal campo alla panchina. Con calma però.
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