Cos'è il Boxing Day? Lo dice la parola stessa, ma non ha nulla a che fare nella sua origine con lo sport. Si tratta dell'usanza dei paesi del Commonwealth di regalare doni (box intesa appunto come scatola) a chi è meno fortunato. Un atto di solidarietà nel giorno che segue il Natale, epoca dell'anno in cui un moto di bontà pare sia capace di attraversare anche gli animi più duri.
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Noi che ci sentiamo neri a metà, siamo tutti Koulibaly
Kalidou Koulibaly è stato bersaglio dei cori razzisti nel corso di Inter-Napoli al Meazza ma noi siamo neri a metà
Nel corso degli anni, poi, nel Regno Unito, il Boxing Day è divenuto simbolo di una sorta di festa dello sport: il campionato di calcio, ad esempio, dedica l'intera giornata alle sue manifestazioni proprio come si trattasse di uno spettacolo. Tutto pensato per permettere alle famiglie di godere di una giornata di relax e divertimento. In fondo, lo sport dovrebbe essere questo, no?
L'appuntamento fisso del 26 dicembre, di campionato in campionato, ha appassionato tutti gli sportivi, anche i non seguaci della Premier League e probabilmente per questo, e più ragionevolmente per gli introiti che ne derivano, la Federazione italiana ha deciso di prenderne parte ufficialmente a partire dal 2018, dopo una 'prova generale' nel corso della stagione precedente.
Del Boxing Day, però, si è confuso terribilmente il significato. La boxe non c'entra nulla, che pure è una disciplina a suo modo spettacolare e d'intrattenimento, nemmeno nel modo più spicciolo d'intenderla: botte e cazzotti. Tuttavia, buona parte degli appassionati del calcio italiano è sembrato non saperlo.
La prima volta che la Serie A è andata di scena il 26 dicembre sarà ricordata come una pagina piuttosto triste dello sport nostrano. Lo spettacolo in campo può anche essere stato all'altezza di una competizione avvincente (non lo dite al Milan!), ma non lo è stato il pubblico, che il senso dello sport ma più in generale della civiltà non l'ha colto in pieno e non ha perso occasione per ricordarlo.
Carlo Ancelotti è tornato in Italia per il desiderio di allenare nuovamente nel suo paese, per recuperare origini e abitudini, e con la velleità di cambiare ciò che da fuori ha notato mancasse: la cultura, allo sport in questo caso.
Il tecnico del Napoli ha parlato spesso alla stampa della sua intenzione di combattere la pessima abitudine ai cori di discriminazione territoriale e razzisti, che, più che offendere il popolo e il calciatore presi di mira, sono il palcoscenico degli stupidi, che vi salgono senza rendersi conto che la loro voce non arriva alla platea, bensì fa eco su loro stessi. L'illumina e mette in mostra la pochezza e l'arretratezza della realtà, la nostra.
L'Italia non vive più nel Medioevo, ma sembra volerci tornare. Forse non tutta, ma una buona parte sì e, per fare in modo che si eviti ogni generalizzazione, chi ha il potere dovrebbe afferrarlo a difesa dell'immagine e, prima di tutto, dell'umanità che rappresenta.
Il calcio è lo sport più popolare e, in quanto tale, dovrebbe avere il nobile fine di partecipare, di unire e raccogliere, di veicolare un messaggio.
Un bambino qualsiasi, seduto accanto a un tifoso (?) ieri al Meazza, quando avrà ascoltato 'buuu' rivolto a Kalidou Koulibaly cosa avrà pensato? Cosa avrà imparato? Forse è strano, per qualcuno eccessivo, ma l'educazione s'insegna dovunque. Non ne siamo mai immuni.
Il San Siro di Inter-Napoli, big match del Boxing Day italiano, ha trasferito a ogni latitudine del mondo la peggiore immagine della Serie A e degli stadi italiani. La Scala del Calcio, che fu il teatro di coppe e campioni, è divenuto per 70' e più il palcoscenico della vergogna. Unanime.
Mazzoleni, il fischietto della sfida, pare si sia accomodato bene nel ruolo di direttore d'orchestra di quanto risuonava dagli spalti. Costa pensarlo e anche affermarlo, ma perché sono stati ignorati i tre annunci dello speaker, che ha invitato i sostenitori nerazzurri a interrompere lo scempio dei cori razzisiti, nei riguardi del difensore senegalese del Napoli? Eppure il regolamento parla chiaro: il direttore di gara può e deve fermare il match, riprendendolo solo quando finalmente non si ascoltano più gli ululati indecenti.
Koulibaly ha difeso allora sé stesso, con un applauso ironico al direttore di gara che, nel rispetto di un altro regolamento, invece, ha ricordato immediatamente il provvedimento da prendere: il cartellino rosso, che dà ragione agli stolti che questo volevano, ovvero che il giocatore di colore (non dovrebbe esserci bisogno di specificare) abbandonasse il campo.
C'è chi dice che Koulibaly abbia sbagliato, che non abbia tenuto i nervi saldi e che un campione, quale lui è, dovrebbe.
Ma è difficile sopportare, e purtroppo non tutti possono capire.
Conoscete Lilian Thuram?
E' stato il difensore migliore al mondo e il più pagato. Ha vestito i colori di Monaco, Parma, Juventus e Barcellona, vincendo dovunque. Ha lottato per la Francia, che spesso l'ha rifiutato, nonostante i Mondiali del 1998. Quasi conta più che coppe che anni, ma oggi che ne ha 46 e ha visto il mondo ai suoi piedi, ancora non è completamente sereno. Non può.
Ai microfoni di Marca, proprio pochi giorni fa, si è confidato: "Il razzismo mi ha colpito senza volerlo. Quando sono arrivato a Parigi, avevo nove anni, mi accorsi di essere nero. E quando te ne rendi conto, immediatamente capisci che nero è meno di bianco. Col tempo ho capito che quest'odio ha una matrice storica, ma bisogna spiegare ai bambini che non è una cosa naturale. Ho visti tanti mollare la carriera da allenatore perché per i neri è più difficile e pensi sia una perdita di tempo".
Thuram è l'idolo e il modello di Koulibaly, la sua carriera è terminata e sta ancora cercando di vincere la partita più importante: non leggere più l'aggettivo 'nero' accanto alla definizione di 'uomo'.
Ecco, forse terminerà tutto nella rabbia di una squalifica e in qualche discussione tra i tavoli del potere, ma vale la pena affermare che "siamo tutti Koulibaly", il più forte difensore oggi in circolazione e l'essere umano più limpido ieri, al Meazza.
Noi ci sentiamo neri a metà, mischiati. Senza ombre, indugi, macchie e sfumature.
Fate un po' voi, squalificate e penalizzate, ma questo non cambierà.
di Sabrina Uccello
Redazione
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