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Ricominciare da dove avevamo terminato. Questo è un po’ la novità di un Napoli che fa, del

Ricominciare da dove avevamo terminato. Questo è un po’ la novità di un Napoli che fa, del

Ricominciare da dove avevamo terminato. Questo è un po’ la novità di un Napoli che fa, della costante il suo tratto originale. Non importa se in campo non si è visto lo straccio di un nuovo calciatore. Non importa se a...

Redazione

Ricominciare da dove avevamo terminato. Questo è un po' la novità di un Napoli che fa, della costante il suo tratto originale. Non importa se in campo non si è visto lo straccio di un nuovo calciatore. Non importa se a guidare l'attacco non c'è un nome altisonante con ingaggio da capogiro. Il vero debutto, questa volta, lo hanno fatto i veterani.

Undici titolari, con quattro elementi diversi rispetto alla gara contro il Nizza, ma pur sempre undici calciatori che il Napoli aveva già in rosa. Già, la Rosa. Perchè questa squadra, di riserve, non ne ha. Ha calciatori che sarebbero titolari tutti, se le regole permettessero più di undici elementi in campo. Se proprio vogliamo trovare qualcosa di diverso, questo si chiama Arek Milik. È suo il primo gol azzurro (il secondo del match, perché il primo è stata un'autorete). Questo non può che far ben sperare, perché il Napoli, lo scorso anno, dovette rinunciare per quasi tutta la stagione all'attaccante polacco, chiamato a sostituire vecchi bomber. Tutto coordinato dallo stesso direttore d'orchestra Maurizio Sarri.

Difficile migliorare questa squadra. Quante volte lo abbiamo sentito dire?

Sembra una sciocchezza bella e buona ma, se ci riflettiamo bene, così non è. Partendo dal presupposto che tutto è migliorabile fino a sfiorare il limite della perfezione, dare qualcosa in più al Napoli non è cosa semplice.

Non lo è, innanzitutto, perché questi calciatori recitano un copione a memoria. Il ritmo scandito dai loro piedi che colpiscono la palla con uno, due, tre e molti altri tocchi, è l'ouverture di una composizione sinfonica che dura, quasi, novanta minuti incessantemente.

Non lo è perché in panchina siedono calciatori di primo livello (non dimentichiamo che il Napoli si permetterà 'il lusso' di cedere Pavoletti).

Non lo è perché difficilmente si possono inserire elementi nuovi in un ingranaggio quasi perfetto. Migliorare il dialogo tra Callejon, Mertens ed Insigne non è semplice. Migliorare il dialogo tra Hamsik e la difesa non è semplice.

Non lo è perché difficilmente ci si possono permettere tanti difensori quasi tutti di primo livello.

Non lo è perché non è semplice trovare un portiere che si accontenti di vivere per un altro po' all'ombra di un leader come Reina.

Non lo è perché difficilmente si incontrerà, ancora, l'entusiasmo di questi tifosi e l'orgoglio tutte le volte che il Napoli viene osservato dall'esterno, fin oltre l'Italia.

È migliorabile, sicuramente, all'interno di se stesso. Come un paziente in analisi che deve correggere qualche malessere del proprio carattere. La mentalità vincente va via via accompagnando la squadra, ma bisogna trovare la ricetta per quel breve periodo di Black out. Un attimo, un momento di buio assoluto, dove il Napoli perde la bussola, ma soprattutto la cognizione di sè. Perché solo credendo e conoscendo profondamente se stesso, questo Napoli può capire che che là strade del successo, la via della vetta, è più vicina di quanto sembri. Al di là di ogni calcolo finanziario. Perché la squadra, la grinta, la determinazione e la consapevolezza, possono battere ogni bilancio.

E allora, da qui in avanti, con qualche elemento andar fiato e da usare come jolly, l'unica parola chiave è: crederci.

FOTO: SSC Napoli

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REDAZIONE - Roberta Savarese