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Arek Milik e Mauro Icardi: destini che s’invertono

Arek Milik e Mauro Icardi: destini che s’invertono

Doveva essere la stagione della consacrazione di Mauro Icardi, è divenuta l'annata di Arek Milik

Redazione

AREK MILIK E MAURO ICARDI: DESTINI CHE S'INVERTONO

Victorio Spinetto, uno dei maestri argentini di calcio, un giorno disse del suo Vélez: "Datemi un gruppo di uomini che tra di loro si vogliano bene e vi restituirò una squadra moralmente indistruttibile".

I campionati, le competizioni, le coppe le vincono i calciatori di talento e personalità, le squadre con le panchine lunghe, i club con fatturati a quattro, cinque, sei zeri. Ma, al di là dell'indiscutibile necessità di spiccate doti fisiche e tecniche, un gruppo non si sviluppa e non diventa vincente se non rema nella medesima direzione. Se anche l'ultimo dei subalterni non mette il generale nella condizione di esprimersi al meglio e credere in sé stesso.

In parte, se non completamente, il guanto di sfida lanciato un secolo fa dall'allenatore di Buenos Aires spiega e racchiude la stagione calcistica di Arek Milik e Mauro Icardi.

MAURITO SOLO E ISOLATO

Quella del centravanti dell'Inter era cominciata sotto i migliori auspici. A 26 anni capitano e simbolo di una delle squadre più note e potenti del Vecchio Continente. Mentre presidenti, allenatori e calciatori si scambiavano di posto come al 'gioco della sedia', lui rimaneva al centro, forte di una leadership conquistata a suon di reti ma anche affibbiatagli per necessità: Maurito è sempre rimasto. L'unico a farlo. In qualche modo gli andava riconosciuto il legame e alla causa e il talento cristallino ed efficace.

Se però tra moglie e marito non va messo il dito, anche la moglie può giocare il ruolo del terzo incomodo se cerca di costruire un'equazione secondo la quale la famiglia si allarga proporzionalmente ad ogni rinnovo contrattuale del coniuge. Senza fare la conta degli figli e dei milioni di casa Icardi, questi ultimi probabilmente potevano essere giudicati sufficienti da non bussare ancora alle porte del club per chiederne altri, anche quest'anno, prima di centrare un traguardo che desse linfa concreta alla più gettonata frase degli ultimi tempi: "Le milanesi stanno tornando".

Perdere l'attaccante argentino per l'Inter avrebbe significato un'affermazione di debolezza e avrebbe significato minare un equilibrio già particolarmente precario, causato dalle ultime annate di livello mediocre. Di questo si è fatto forte l'ormai il calciatore, accontentato nelle sue pretese fino all'arrivo di Beppe Marotta. L'ex Ad della Juventus ha portato in nerazzurro l'austerità e l'autorevolezza del modello adottato anche in bianconero: è il calciatore al servizio del club e non viceversa. Ogni pregio sarà riconosciuto e ricompensato, ma nessuno riceverà una caramella per ogni compito ben svolto.

Una severità probabilmente inattesa da parte di Icardi e di Wanda Nara, soprattutto quando un cinguettio più lampante del fulmine a ciel sereno ha fatto sapere a Icardi che non avrebbe più indossato la fascia da capitano. Un viavai di frecciatine su Twitter e occhiatacce alla dirigenza hanno scandito i giorni a seguire, ma non hanno funzionato. L'Inter si è fatta forte. Ha puntato i piedi per terra.

Se Mauro non è più chi indossa la fascia, Spalletti è chi invece indossa i pantaloni in famiglia e fiancheggia la società. A costo di perdere gol, punti e danneggiare la classifica. Nessuno ha creduto all'infortunio (seguito alla decisione di rendere Handanovic capitano, ndr) o quantomeno alla durata della convalescenza, ma ha fatto comodo anche allo spogliatoio convincersene. L'argentino è ai ferri corti con la maggior parte dei compagni e gli incontri poi avvenuti tra la dirigenza e il suo entourage sembrano solo un trattato di non belliggeranza fino al calciomercato estivo.

Tra il frastuono di chi s'impunta e di chi non ha forse la maturità adeguata per schierarsi nella lunga fila di coloro che hanno ragione, resta la realtà. Isolato e solo, Mauro Icardi ha siglato l'ultimo gol a dicembre del 2018 contro l'Udinese e la sua ultima partita l'ha disputata il 9 febbraio del 2019 contro il Parma. Avrebbe potuto calcare il campo, quando all'Inter è mancato l'uomo che risolvesse la pratica Lazio, ma ancora una volta l'allenatore ha preferito la via dell'etica per non creare precedenti né esempi di sottomissione.

Come finirà questa sfiancante soap opera? Si accettano suggerimenti.

L'UNIONE FA LA FORZA

A qualche km decisamente più in giù, mentre il centravanti argentino vive da separato in casa, Arek Milik risale la montagna dal versante opposto. La sua, in realtà, è più una morbida discesa, che affronta schivando gli ostacoli con una riserva di destro, sinistro, colpi di testa e tap-in più profonda di quella di critiche e profezie di improvvisati santoni. Non sembrava essere nemmeno questa la stagione della sua affermazione, al punto che spesso si è gridato allo scandalo per la decisione, da parte del Napoli, di non contrattare un attaccante centrale per il neo-arrivato Carlo Ancelotti. Tuttavia con 16 reti (di cui 0 rigori, ndr) il polacco ha aiutato gli azzurri a mantenere il secondo posto in campionato, ha poi accompagnato la squadra ai quarti di Europa League e ha rassicurato la platea partenopea quando la ditta Mertens&Insigne è andata a secco di meraviglie. Non solo una dose soddisfacente e variegata di reti, ma anche lo spettacolo della loro natura e la capacità di rappresentare in campo i movimenti giusti per esaltare le prestazioni della squadra.

Il destino napoletano di Milik non l'ha mai chiamato ad affrontare situazioni comode: prima il peso di raccogliere l'eredità di Gonzalo Higuaín poi la rottura del legamento crociato e ancora l'infortunio al ginocchio. Un trittico più vicino a una macumba che alla sfortuna.

Il carattere, il carattere. Questo ha preservato il futuro di Arek Milik dalle intemperie dei giudizi feroci, dei proclami difficili da mantenere e dal confronto con i diretti concorrenti: come se non bastasse Cristiano Ronaldo in versione Benjamin Button, a fargli da rivale diretto si è aggiunto l'irrefrenabile Krzysztof Piątek, suo connazionale.

Tuttavia Milik ha avuto due virtù di cui non ha potuto godere Mauro Icardi, in stagione: la paziente serenità e un gruppo unito. La formula magica l'ha recitata Carlo Ancelotti, che ha saputo dargli tempo e fiducia, che ha creduto più alla versione di un talento da lasciar sbocciare che a quella di un ibrido solo a tratti utile.

Le squadre vincenti lo diventano per la congiunzione di più fattori. Esistono gruppi competitivi e compatti che non hanno stipato titoli in bacheca, ma chi può indicare il nome di uno spogliatoio a pezzi che ha alzato al cielo una gloriosa coppa?

di Sabrina Uccello

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